Il paesaggio scorreva rapidamente davanti agli occhi del ragazzo attraverso il finestrino della piccola auto bianca.
Se ne stava con il viso poggiato mosciamente sul pugno e il gomito puntato sulla portiera, nel punto in cui iniziava il vetro. Gli occhi color ambra che guardavano annoiati i palazzi e le strade di città che stavano attraversando, città che non aveva mai visto prima di quel momento.
- Ancora un ora. - Disse la madre affacciandosi dal sedile di fronte.
Lui neanche le rispose, perso in quello stato di trance, quasi sogno, nel quale a suo parere tutti almeno una volta al giorno si perdevano.
A cosa stava pensando? Semplice: a dove cavolo lo stessero portando i suoi genitori.
Già, perché a causa di un viaggio di lavoro, i due avrebbero dovuto rimanere all'estero per circa due o tre mesi e non potendo portarlo con loro e non avendo parenti vicini, alla fine si erano dovuti rivolgere alla sorella della madre, una zia che in realtà Satoshi non aveva mai incontrato in tutta la sua vita, se non forse un paio di volte quando era davvero piccolo, e che viveva più o meno a cinque ore di distanza dalla loro casa.
Ma non era tanto il dover passare i prossimi sessanta o novanta giorni in compagnia di quella che alla fine era una completa estranea a farlo arrabbiare, quanto il fatto che si trattava proprio del periodo delle vacanze estive, che di solito passava o al mare con gli amici o in vacanza con i genitori da qualche parte, mentre quell'anno lo avrebbe dovuto passare a lavorare. Sì, perché spedirlo da quella sconosciuta, lontano dal mare e dai suoi amici non era abbastanza per i suoi genitori, assolutamente no, avrebbe dovuto anche aiutare la zia con il suo lavoro, un lavoro del quale tra l'altro non sapeva assolutamente nulla.
Anzi, a pensarci bene qualcosa la sapeva: che ai suoi genitori faceva paura.
Li aveva sentiti solo la sera prima discutere animatamente di quella decisione, sembrava che fossero davvero terrorizzati all'idea di spedirlo lì, probabilmente se avesse avuto ancora dei nonni o se i suoi genitori avessero avuto altri fratelli, non avrebbero esitato un solo istante a spedirlo da loro. Purtroppo però, l'unico parente che gli era rimasto era proprio quella zia.
- Se avrai qualche problema, anche il più piccolo, non esitare a chiamarci. - Disse ad un certo punto la madre.
Satoshi le rivolse un'occhiata perplessa attraverso lo specchietto retrovisore e la donna ammutolì all'istante, a quanto pareva non erano ancora intenzionati a dirgli dove lo stessero portando esattamente.
- Insomma, che è tutto questo mistero? Il lavoro della zia non sarà mica il sicario, no? - La buttò sul ridere lui.
I suoi genitori si rivolsero uno sguardo allarmato attraverso il vetro dello specchietto.
- Un attimo! Fa davvero il sicario!? - Esclamò lui a dir poco sconvolto.
- No, certo che no. - Sospirò il padre.
- Perché non me lo volete dire? -
- Perché probabilmente se lo sapessi ti rifiuteresti di andarci e questo complicherebbe ancora di più le cose. - Confesso l'uomo.
- Mi sento molto meglio, grazie. - Disse lui sarcastico prima di riabbandonarsi contro la portiera.
- Se la zia ti chiede cose troppo... Complicate, ecco, tu rifiuta senza farti troppi problemi, ok? -
Satoshi non si era neanche degnato di rispondere a quel punto: quando era troppo era troppo, se loro non dicevano le cose come stavano, allora lui avrebbe fatto lo sciopero della parola... Bè, sempre che esistesse una cosa del genere...
STAI LEGGENDO
The Cheshire Cat//Yaoi//
Roman d'amourDal testo: - Quindi, si può sapere perché lo chiamate "Cheshire Cat"? - - Allora, ci sono quattro motivi. Il primo è per il cognome. - - Sì, quello era chiaro. Poi? - - Poi per il suo sorriso. Non so te, ma io ogni volta che sorride ho quasi il...