CAPITOLO 11

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Devon's pov

Sono sfinito. Il resto della giornata in ambulatorio mi ha distrutto. Dopo la sfuriata di Summer che ha fatto praticamente scappare Ella, il prosieguo a lavoro non è stato dei migliori. Non ho mai avuto tante emergenze come oggi, ma almeno ho avuto la mente occupata tutto il tempo, il che è senz'altro positivo.
A sera inoltrata, una volta aver salutato i miei dipendenti/studenti, mi reco nel mio appartamento, finalmente.
Mentre guido, purtroppo, ipotizzo che Summer mi starà di certo aspettando per concludere il "discorso" di stamattina. Non sono mentalmente e fisicamente pronto ad una cosa del genere. Non si rende conto che è stata proprio lei ad allontanarmi con il suo comportamento. Forse le cose sarebbero diverse ora se avesse agito in modo differente.
Parcheggio al solito posto e afferro le chiavi di casa, ma come previsto, una voce femminile mi immobilizza sull'uscio. È lei.

«Devon, dobbiamo parlare. Volevo scusarmi per stamattina, non sarei dovuta venire in ospedale. Avrei potuto anche farmi vedere da mio padre il che sarebbe stato imbarazzante...» Ebbene sì, Summer è la figlia di uno dei più stimati neurochirurgi del Lennox, ci siamo conosciuti per questo. Sarebbe un guaio se venisse a scoprire di noi.

«Il tuo comportamento è stato fuori luogo, Summer. Lo capisci?» Mi volto nella sua direzione inclinando di poco il capo. Deve capire che non può comportarsi come una bambina capricciosa ogni volta che non ottiene ciò che vuole.

«Sì, mi dispiace. Facciamo pace?» Cerca di sorridermi convincente. Riluttante acconsento con un cenno del capo ma lei mi si catapulta praticamente tra le braccia. In un primo momento rimango fermo sul posto, ma poi mi decido a cingerle i fianchi con le braccia. Non sono del tutto sicuro che abbia capito l'antifona e me lo conferma la sua domanda.

«Posso restare da te?»

«Non è il caso, sono stremato...» È la verità, probabilmente mi addormenterò a breve e non sarei per nulla di compagnia. Con un sonoro sbuffo, la ragazza acconsente, grazie al cielo, e mi saluta con un bacio. Direi che è andata piuttosto bene, pensavo peggio. Finalmente posso rientrare nella mia dimora e crollare esausto sul divano.

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Mi sveglio di soprassalto, madido di sudore. Devo aver fatto un incubo ma purtroppo mi rendo conto che è la cruda realtà.
Mi passo una mano tra i capelli umidi per poi coprirmi il viso con entrambe. Quando finirà questa storia? Non posso andare avanti così per sempre, è straziante ma so di meritarmelo.
La sveglia segna le 4.55 ma decido di alzarmi, anche se è notte fonda, tanto non riuscirei più a dormire in ogni caso. Vago per la casa senza uno scopo preciso optando alla fine per prepararmi un po' di cioccolata calda che adoro. La berrei in qualsiasi momento, sempre e comunque. Mi prodigo a cercare tutto l'occorrente che Martha, la domestica, gentilmente si premura di sistemare e pulire, preparando poi la mia bevanda.
Non ottengo però l'effetto desiderato e quasi mi sento peggio di prima. Forse non è stata una buona idea, in questi casi la cioccolata deprime. Un sorriso amaro si viene a formare sul mio volto, consapevole di quanto sia diventato negativo ultimamente. Chissà se Richard stia dormendo, ma forse è meglio non sapere cosa stia facendo o chi si stia facendo a quest'ora. Non che sia un puttaniere, ma è pur vero che il suo fascino colpisce sempre. Ha come una calamita per le donne ma è il tipo che non vuole impegnarsi, mai e poi mai. Mi ha ripetuto più volte che non crede nell'amore eppure continua ad affibbiarmi donne che non voglio sapendo perfettamente cosa mi è successo e come sono cambiato da allora.
Ma è notte fonda ed è piuttosto straziante fare questi pensieri, così cerco di ricacciarli nei meandri più oscuri della mia mente malata ritornando a letto. Peccato che le mie intenzioni di dormire falliscono miseramente e finisco per fissare il soffitto fino all'alba.

L'indomani arriva lentamente, senza fretta, e mi rendo conto che è da un po' che non osservavo il sole sorgere. È sempre un bello spettacolo nonostante il motivo per il quale riesca a vederlo. Mi alzo, stufo di restarmene disteso, e scelgo di non allenarmi per oggi, devo conservare le energie per il lavoro. Il suono del cellulare richiama la mia attenzione. È mia madre. In Inghilterra dovrebbe essere già tarda mattinata, più o meno. Con un po' di esitazione, rispondo e subito vengo accolto dalla voce di mia madre.

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