CAPITOLO 17

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Devon's pov

La serata si sta svolgendo stranamente bene, senza scenate e cose varie alle quali sono abituato. Ella si è mostrata una piacevole compagnia anche se piuttosto testarda. Vorrei tanto sapere cosa le ha detto Richard sul mio conto ma non potrei mai chiederglielo o si farebbe dei film mentali assurdi. So che non mi tradirebbe mai, ma ho come il sospetto che la piccola artista stia cercando di scoprire qualcosa sul mio conto. Peccato che di rado rivelo ciò che riguarda la mia vita privata. Tutto ciò che le deve interessare è che sono un medico e che la sto aiutando a stare meglio, com'è giusto che sia. Non c'è ancora quel tipo di confidenza e francamente non so se mai ci sarà o quando, ma è giusto tentare. Le ho già mostrato che so ballare piuttosto bene e noto con piacere che non se lo aspettava affatto. È stato divertente ammirare la sua faccia sorpresa e meravigliata. Anche lei se la cava, comunque. Al termine della canzone torniamo al nostro tavolo anche perché le consumazioni sono arrivate e ci attendono.

«Non ti facevo il tipo da martini.» Esordisce all'improvviso, dopo qualche sorso del suo drink.
«E che tipo mi facevi?»
«Non lo so, ma il martini è più da Richard.» Fa spallucce sorseggiando la sua bevanda.
«Che cosa vorresti dire?» Le chiedo perplesso. Dove vuole arrivare?
«Che Rick lo prende sempre mentre tu non sei il tipo o almeno così mi era sembrato.» Mi risponde con una finta nonchalance.

«Perché Richard è quello che beve fra i due, infatti.» La guardo aspettando la sua prossima mossa che non arriva.

«Oh neanche io bevo di solito, solo ogni tanto.» Mi confessa subito dopo aver finito il suo di drink.

«Meglio così, almeno non rischi di inciampare in qualche tombino di notte. No, ma che dico, tanto ci cadi anche da sobria.» La derido del suo incidente solamente perché la fa innervosire e perché non si è fatta nulla grazie ai miei fantastici riflessi.

«Guarda, mi sto sbudellando dalle risate! Non è divertente prendersi gioco delle cadute, potenzialmente mortali, altrui.» Sbuffa spostandosi la frangia da un lato per non farla finire negli occhi color acqua marina.

«Hai detto bene, perché ti ho letteralmente salvato la vita.»

«Sei un medico, non lo fai sempre? Quindi puoi anche smetterla di vantarti.»

«Non mi vanto, ti ricordo che mi sei debitrice a vita.» Ci guardiamo per qualche istante. Ella sembra seria ma poi un sorrisino la tradisce e prorompe in una fragorosa risata.

«Quindi, basta bere. Andiamo a farci due passi, ti va?» Annuisce e poi chiamiamo un cameriere per il conto che, dopo non troppe storie, mi lascia pagare.

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«Quindi vieni da Londra, giusto?»
«Sì, esatto. Non si nota l'accento?»
«Non ce l'hai marcato. Perché ti sei trasferito a New York?»

Stiamo passeggiando nei pressi del Central Park non troppo distante dal locale in cui ci trovavamo fino a poco fa. È una serata tranquilla, non ci sono moltissime persone in giro e questo la rende ancora più piacevole. Un po' meno le domande di Ella alle quali non posso dare una vera e propria risposta. Sono una persona riservata, non mi piace spiattellare i miei fatti in giro. Raramente mi piace parlare di me e questo non concerne quasi mai il mio passato.

«Ero stanco di starmene a Londra.» Le rispondo semplicemente, in fondo è la verità.
«E da quanto vivi qui?»
«Da poco più di un anno.»
«E sei felice?» Questa sì che è una bella domanda. "Felice" è un parolone, anzi, non credo nemmeno di potermici avvicinare al momento...sempre se sia destinato a meritarla, il che ne dubito.

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