Caccia.

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Neve, neve, neve, neve... erba! Finalmente erba! La primavera si stava facendo notare molto lentamente, e finalmente sarebbe arrivato il caldo.
Una giornata molto radiosa illuminava le foreste finlandesi. Su tutta la Finlandia il sole splendeva più che mai e le nuvole non osavano farsi notare. Tutto questo scatenò una grande gioia tra la fauna della foresta, e nessuno tra i quadrupedi permetteva a l'altro di rubargli i primi ciuffi d'erba fresca, che uscivano con gran fatica da quella massa bianca. Alcuni cervi maschi, iniziarono a scontrarsi tra loro per rafforzare la loro carica e le loro corna. I piccoli cerbiatti giocavano tra di loro e molti di essi imitavano i padri. Scontravano le loro teste l'una contro l'altra, volevano crescere in fretta, e chissà, molto probabilmente uno di loro sarebbe stato il futuro capo branco.
Però tra tutti quei cervi, c'era qualcosa che non andava, anzi, qualcuno li stava osservando.

Due occhi rossi come rubini li osservavano attraverso un cespuglio di rovi, fitto e spinoso. La creatura aveva un manto bianco e maculato, la coda lunga a vispa di pelo. Le zampe robuste, il corpo snello, ma il pelo faceva sembrare la belva più grossa. Ringhiò e si leccò i suoi baffi da felino, la fame la stava divorando.
Pian piano, fitta, fitta, ella si avvicinava verso la prateria dove i cervi pascolavano, si nutrivano, vivevano. Ma uno di loro non sapeva che a pochi istanti a venire, la loro vita, gli sarebbe stata strappata. I cuscinetti delle zampe che atterravano morbidi sul terreno, donavano alla creatura maculata movimenti guardinghi e totalmente silenziosi.
Era sempre più vicina, e i cervi non notarono niente, neanche percepirono la sua presenza da quanto era perfettamente mimetizzata, grazie alla neve che ancora non si era sciolta del tutto.
La belva non riusciva più a trattenersi, doveva attaccare, sfamarsi e fermare quello che al momento la stava talvolta divorando. Ma non riusciva a concentrarsi, qualcosa la disturbava, anzi, la tormentava. Non era un suono, né un contatto fisico, ma una presenza. Si guardò indietro e non vide nessuno.
Non vide nessuno.
Dov'era?
Era dietro di lei un attimo prima, e lo aveva perso di vista.

No, doveva pensare a cacciare.

Riprese il suo fare minaccioso e furtivo che abbandonò un istante prima. Una cerva le era molto vicina. Sarebbe solo bastato saltarle addosso e  trafiggerle una natica con i suoi artigli, così che correndo peggiorasse la ferita, correrle dietro, rapida, come solo la bestia riusciva a fare. Sentire il sangue sui suoi denti della ferita appena inflitta, il dolce sapore della caccia sulle sue pupille gustative, le faceva aumentare l'acquolina in bocca.
Non voleva più aspettare.
Si mostrò.
Saltò con tutto il peso del suo corpo sopra la povera preda che non ebbe il tempo di scappare dalla presa mortale della creatura maculata. Gli altri cervi quando videro il pericolo in carne ed ossa, iniziarono a galoppare via, veloci come il vento. Per fortuna non erano una grande mandria; la prateria si svuotò in veri e propri pochi istanti.
La belva graffiava, mordeva il corpo dell erbivoro in più in fretta e forte possibile. Doveva farla morire lentamente; doveva causarle emorragie sui punti vitali come il collo e petto dove vi era situato il cuore.
La povera preda scalciava. Aveva già provato diverse volte a fuggire ma non c'era stato nessun modo. Ora mai, doveva arrendersi, farsi una ragione che sarebbe morta. La maculata strinse tra le sue fauci il naso della cerva così che non potesse più respirare.
Ella morì pochi istanti dopo.

Una figura umana, non tanto alta, si avvicinò lentamente alla belva che ansimava stremata dai duri sforzi affianco alla carcassa. Sospirò e sorrise innocentemente, poi battè le mani con molto entusiasmo e ridacchiò.

«È stato... fantastico! Ogni qual volta che lo fai rimango affascinato dalle tue tecniche di caccia!»

«He he he... » sghignazzò la creatura maculata «Quando diventerai un leopardo forse ne riparleremo! A proposito : ma dove eri finito prima? Pensavo mi seguissi! Mi sono preoccupata per te.»

La leoparda afferrò con la sua bocca la testa della cerva e iniziò a trascinarla verso la foresta.

«Beh, volevo assistere alla caccia da un punto più lontano che non fosse pericoloso! Però adesso la mangiamo?»

"Sì, e ne prendiamo qualche pezzo per il viaggio!" Comunicò telepaticamente la felina.

Il ragazzo era di bassa statura, indossava un mantello verde con una spilla argentea che serviva a tenerlo sulle sue spalle. Sotto aveva dei vestiti molto pesanti che gli sarebbero serviti ancora per un'altro bel po'. I capelli corti e biondi, con una passata nera, che falliva nel suo intento di raccogliere sua la frangia. La cintura era ben fornita, aveva circa dieci sacche, e la maggior parte di esse forniva una gran quantità di cibo. Non aveva armi, non ne aveva bisogno. Aveva la dea a suo fianco, era come una scudo vivente; se qualcuno avesse osato soltanto sfiorarlo, lei con la sua furia da bestia selvaggia, non ci avrebbe impiegato molto a sistemare e fare piazza pulita. Ma la cosa che faceva tenerezza nel suo sguardo erano i suoi occhi : viola. Erano di un colore raro, ma così raro, che chi lo fissava lo prendeva per una divinità scesa in terra. Nessuno aveva mai avuto gli occhi di tale colore, tranne sua madre, forse li aveva ereditati da lei.

Accesero un fuoco. La leoparda prese le sembianze di una donna. Ella era alta, snella; i capelli biondi che erano così chiari da sembrare bianchi; l'armatura in pelle con le ginocchiere, spalliere e i pettorali argentei. La dea, iniziò a scuoiare pian piano il corpo della cerva. Ne ricavava di tutto : cuore, fegato, interiora ed altri organi vitali. Svolgeva tale procedura sin da quando era una semplice e innocua bambina. Non le dava fastidio né nausea e tanto meno sconforto. Uccidere, era quello che sapeva fare meglio, e a volte non lo faceva di proposito.

«Adesso dove andremo? Voglio dire, la nostra prossima destinazione?» chiese il ragazzo basso mentre si appoggiava alla spalla della donna.

«Turku!»

«Turku? Non ci sono mai stato... il mio villaggio sta da tutt'altra parte!»

«Oh sì, lo so, lo so... non è per caso lì che ci siamo incontrati?» sorrise la dea, mentre guardava dolcemente il ragazzo. Gli arruffò i capelli.

«Sì lo so! È che sono solo passati tre mesi da quando ci conosciamo e già siamo amici! Il che mi rende felice! Woah, una dea per amica! Ancora non ci credo!» disse il biondino mentre si sistemava i capelli che la dea gli aveva scompigliato.

Il ragazzo fissò le stelle per un attimo, chiuse gli occhi e sorrise. Poi sbadigliò e si sgranchì la schiena. Era stata una giornata dura per entrambi, avevano passato l'intero pomeriggio a pianificare la caccia ai cervi che per fortuna era riuscita con gran successo. In più, avevano camminato quasi più del solito la mattina stessa. Il biondo si sdraiò sulla neve e non distorse per un secondo i suoi occhi dal viola ametista dal cielo. Essi, iniziarono a farsi sempre più pesanti, man mano che i secondi passarono. Bisbigliò qualcosa, in un accento molto del nord. Le uniche cos che si riuscirono ad udire furono : "Spero... vi prego... voglio bene..."
Si addormentò.
La donna, quando non lo vide più muoversi, sorrise. Si pulì le mani insanguinate sulla neve, lo prese in braccio e lo avvolse in una coperta all'interno di una piccola capanna che lei stessa aveva creato con la magia unendo i rami caduti al suolo che nel cadere si sparpagliarono qua e là. Gli diede un bacio sulla fronte, lo coccolò per qualche istante a se e ritornò a lavorare sulla sua preda.

Breath Of The Wild : La dea dei ghiacci (in riscrittura)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora