9 luglio 2017

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Avete presente quelle semplici cose che tutti odiano ma tu trovi estremamente affascinanti? Quelle cose che tutti criticano lamentandosi di quanto siano fastidiose, però per te sono talmente incantevoli che le fisseresti per tutto il giorno? Beh una di queste, per me, era la pioggia. Non credo di aver conosciuta mai nella vita una persona a cui piacesse la pioggia; non quella leggera, estiva, che cade giusto per rinfrescare un po' e poi scappa via. No, io adoro quella pesante, frenetica, che non smette mai. Quella inaspettata che arriva quando sei senza ombrello per tornare a casa e ti ritrovi presto tutta inzuppata. L'ho sempre trovata meravigliosa. Di solito siamo troppo concentrati a pensare che una giornata perfetta deve avere il sole brillante nel cielo. Secondo me il sole è troppo banale ed egocentrico. Vuole tutta l'attenzione per sé, mentre automaticamente quando si sente parlare di pioggia, si pensa ad una giornata buia e cupa. Io non sono d'accordo. La pioggia fa risplendere i colori degli oggetti e lascia che le tue attenzioni si concentrino su quello che ti circonda. Così scopri la fastidiosa ruggine che ricopre il palo dello 'STOP' oppure lo strato arancione di foglie secche che nasconde il marciapiede. Questo era quello che mi pensava per la mente quando mi capitava di guidare con la pioggia e non riuscivo a capacitarmi come tutto il mondo non riuscisse a comprendere tale spettacolo. La pioggia diventò più fitta, allora misi in funzione i tergicristalli della mia piccola macchina. In realtà non era letteralmente mia, era di mia madre, Gessica. Lei non aveva molta fiducia in me e faceva bene. Ero un elefante in una cristalleria e la maggior parte delle volte distruggevo tutto e veniva fuori un bel fracasso. Avevo preso la patente da solo due mesi e avevo già fatto un incidente con l'auto che Gessica mi aveva regalato. Nulla di grave: semplicemente, avevo guidato troppo vicino ad un muretto. Il fatto era che mi distraevo facilmente, come stavo facendo poco prima con le minuscole gocce che cadevano sul finestrino. Mia madre aveva avuto molto coraggio a lasciarmi usare questa macchina, piuttosto ne fu obbligato. Avevamo, già da un paio di settimane, deciso che necessitavo una pausa dagli studi e le venne la fantastica idea di mandarmi nel paesino sperduto di mio nonno. Principalmente questo era il motivo per cui stavo guidando lungo quella strada infinita costeggiata da abeti giganteschi. Mi scappò un sospiro di sollievo non appena vidi un cartello verde con su scritto 'MACWOOD 10km'. Mi sembrava di star percorrendo la stessa strada da almeno un quarto d'ora. Da lontano notai arrivare un'altra macchina che lasciava la cittadina che io dovevo raggiungere. Mi sfrecciò accanto molto veloce, eppure riuscii a vederne i passeggeri. Guidava un ragazzo abbastanza carino, un po' più grande che sorrideva guardando la ragazza che gli stava accanto. Lei, per pura coincidenza, aveva voltato lo sguardo nello stesso preciso istante riuscendo così a fissarmi dritto in faccia. Mi somigliava molto: aveva i capelli neri mossi che le scendevano morbidi sulla schiena e degli occhi azzurri grandi. Mi stupii di quella somiglianza, ma non potevo esserne certa dopotutto l'avevo vista solo di sfuggita. Non ci pensai più per il resto del viaggio. Era un dettaglio insignificante che avrei dovuto ricordare.

Ormai era diventata un'abitudine: ogni mattina, dopo essermi fatta una rilassante vasca nel bagno della modesta casa di mio nonno, uscivo e attraversavo la strada per fare colazione al bar di fronte. Non potevo lamentarmi di Macwood. Era una cittadina tranquilla formata dal 90% di vecchi e dal 10% di animali. Già il primo giorno dopo l'estenuante viaggio avevo conosciuto tutta la popolazione. Mio nonno, Arthur, mi aveva fatto fare il tour della città per poi finire davanti a casa sua dicendo "Macwood diventerà la tua seconda casa". Mi piaceva vivere in un paesino così piccolo dove tutti sapevano qualsiasi cosa di ogni abitante e la privacy non esisteva, perché ogni anziano voleva conoscere la tua intera vita, morte e miracoli. Io ero riuscita a restare un po' misteriosa, poiché se c'è una cosa che le persone amano ancora di più che ascoltare è raccontare la loro storia. Infatti, anche grazia alla mia smisurata curiosità, mi sono aggiornata su tutti i gossip precedenti. Ad esempio, mentre aspettavo per comprare le medicine a mio nonno, Lucas, un signore che portava sempre cappelli molto eccentrici come quello giallo fosforescente con una piuma blu, mi aveva raccontato la fine che aveva fatto il suo unici grande amore Isabel e per poco non andavo dal medico piangendo. Un'altra volta durante una passeggiata al parco avevo incontrato Lucy che mi aveva spifferato tutti la vita privata di suo figlio Erik (con certi particolari irripetibili). Quella mattina davanti al bancone del bar Adele mi stava spiegando come ci era finito il suo guanto rosso di pelle tra i cuscini del divano di Lucas, ad un certo punto Cinzia col suo accento messicano mi disse: "Sempre il solito, Iris?" Io accennai un sì con la testa e siccome Adele aveva finito la sua storia, presi un giornale e mi sedetti ad un tavolino. Allora, vorrei soffermarmi un minuto sui giornali di Macwood: non ho idea di quale sia il motivo (forse è tanto distante dalla metropoli o semplicemente lì vivono qualche giorno indietro), ma i giornali che trovai in quella cittadina erano sempre di qualche giorno dopo. Per conferma, quello che presi al bancone era datato il giorno in cui ero arrivata. Non mi dava fastidio: mi bastava qualcosa da leggere, mentre mangiavo la mia calda brioche piena di marmellata. Sfogliai incurante le pagine, finché mi soffermai su un titolo alquanto ambiguo: 'INCIDENTE A MACWOOD'. Eravamo un paesino troppo tranquillo per finire in un giornale regionale. Mi misi a leggere l'articolo e mi colpirono in particolare le foto in primo piano dei due giovani ragazzi morti nello scontro stradale. La ragazza era molto carina con dei capelli neri e mossi e con degli occhi azzurri davvero grandi, nell'altra foto il ragazzo sorrideva in modo familiare e già visto. Si chiamavano Letitia e Ian. Non mi erano nuovi quei volti, eppure nessuno li conosceva in paese e non credo che frequentassero il mio college. Il tintinnio della campanella all'entrata del bar mi fece alzare la testa del giornale. Rimasi abbastanza basita quando mi accorsi che era entrato un ragazzo giovane, veramente giovane; cioè avrà avuto solo qualche anno in più di me e non 50 anni come il resto della popolazione. Avevo bisogno di parlare con qualcuno che mi capisse, non che tutti quei vecchietti non fossero interessanti anzi adoravo ascoltare le loro affascinanti storie, ma quel ragazzo era così giovane e bello... "Posso sedermi?" Non potevo crederci! Aveva anche una voce così calda e profonda. In pratica era il ragazzo perfetto con quei capelli mori, tutti scompigliati e gli occhi verdi brillanti. Stava sorridendo e mi guardava con un espressione un po' confusa. "Scusa, hai detto qualcosa?" chiesi imbarazzata, sistemandomi gli occhiali da lettura. "Volevo sapere solo se quel posto è libero?" rispose lui ridendo. Risi insieme a lui. "Sì, sì certo. Siediti pure." Lo fece e appoggiò il suo cappuccino sul tavolo di plastica bianca facendo tintinnare il cucchiaino sulla porcellana. Lasciai perdere il giornale appuntandomi mentalmente di cercare maggiori informazioni sull'incidente. "Come ti chiami?" "Io sono Cole e tu sei..." "Iris." "Tuo nonno abita qui?" Sorrisi e aggrottai le sopracciglia. "E tu come fai a saperlo?" Rise divertito lasciandomi perplessa. "Tranquilla, non sono uno stalker. È che sono piuttosto sicuro che qui a Macwood ci abitino solo vecchi. Sai ad Adele non piace quella parola." L'ultima frase la sussurrò, mentre si avvicinava a me. Mi guardai intorno e vidi che proprio Adele era seduta al tavolo accanto a noi che sorseggiava il thè. "Ma allora la conosci anche tu?" chiesi incuriosita. Volevo sapere di più riguardo questo ragazzo sconosciuto. "È mia nonna..." Ci guardammo un attimo negli occhi ed entrambi scoppiammo a ridere per la mia tremenda gaffe. Passammo tutta la mattinata a conoscerci meglio. Mi sembrava di averlo sempre avuto al mio fianco e non mi stupiva niente di lui: non il suo vizio di pizzicarsi il collo mentre pensavo, neppure il tic le sopracciglia ogni qualvolta dicevo qualcosa che lo confondeva. Amava la pizza e adorava le biblioteche, ma come diceva lui: "Solo l'atmosfera. Io allergico ai libri". Questo, secondo me, era l'unico suo difetto, se non considerava il fatto che metteva sempre in discussione tutto quello che dicevo. Per questo avevamo spesso qualche battibecco e alla fine dovevamo lasciare cadere la questione, siccome nessuno dei due voleva riconoscere di avere sbagliato. Passammo anche tutto il pomeriggio insieme passeggiando e giocherellando con il suo cane Erny al parco. Solo quando tornai a casa abbastanza presto, verso le nove di sera, perché non volevamo svegliare tutti gli altri che erano andati a letto alle otto, mi resi conto di quanto pettegola era la mia vicina di casa Wendy. Infatti, appena mi vide, mi disse: "Ma quindi tu e il nipote di Tom e Adele vi siete conosciuti?" Mi fece prendere un grosso spavento, poi mi girai e la vidi sotto la sua veranda seduta sul dondolo con la sua gatta siamese Lola in grembo: sembrava seriamente uno di quegli antagonisti malefici nei film. "Ehm... Sì." "E le tue impressioni?" Affari miei?! "Un ragazzo simpatico." Stavo cominciando ad avere freddo, purtroppo non mi ero preparata ad un incontro notturno con la mi vicina di casa raggomitolandomi in una coperta di lana. "Solo simpatico?" chiese lei sbigottita. Finsi uno sbadiglio e risposi: "Scusa Wendy, ma sono davvero molto stanca adesso. Meglio se vado a letto." "Immagino, anch'io lo sarei dopo aver passato un'intera giornata con quel giovanotto..." Scappai dentro casa sperando di sfuggire a quei commenti invadenti. Mi chiusi la porta alle spalle e mi ci accovacciai davanti. Aveva ragione Wendy: Cole non era solo simpatico, era anche affascinante, sensuale, bello, divertente, interessante, coraggioso e un sacco di altre cose. Ero stata proprio fortunata ad incontrarlo e, a dirla tutta, poteva essere che mi piacesse un pochino, senza 'pochino'. Percorsi il corridoio e andai in soggiorno dove mio nonno Arthur si era addormentato sulla poltrona con la televisione accesa. Io e lui avevamo un legame speciale, come quello tra padre e figlia. L'unico problema è che viveva troppo distante da me e mia madre per andarlo a trovare ogni volta che volevo, però perlomeno potevo chiacchierare con lui al telefono. Bevvi un bicchiere d'acqua e poi andai a prendere una coperta pesante da posargliela sopra. Gli sistemai i pochi capelli grigi che gli rimanevano in testa, gli baciai dolcemente la fronte e spensi la televisione. Dopo, mi buttai direttamente a letto dove mi addormentai pensando di essermi dimenticata qualcosa.

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