1 luglio 2016

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Prima perdita.

"Tesoro,ti devo parlare" disse mia mamma. Ero distesa sul letto con la faccia schiacciata letteralmente sul cuscino e mia madre si era seduta sul letto accanto a me. Mi diede due leggeri colpetti sulla spalla per farmi girare. Io grugnii svogliatamente. "Gabriella, è importante." Mi stavo preoccupando: in occasioni simili mia mamma mi avrebbe maledetta e ci saremo parlate verso mezzogiorno, l'ora in cui mi sveglio la domenica mattina. Capii che c'era qualcosa che non andava anche dal suo tono: cercava di nascondere inutilmente una profonda tristezza. Allora aprii gli occhi, sorpresa che Miley non avesse aperto il balcone, e mi girai anche se dentro di me desideravo ardentemente rimettermi a dormire. Durante la notte mi ero svegliata varie volte con un'ambigua sensazione, come se mi fosse stato tolto qualcosa di molto importante. Cercai di distinguere mia madre nel buio in cui era immersa la stanza. "Ehy mamma,dimmi tutto." All'improvviso mi venne in mente una mattina di qualche anno fa.Sempre domenica e anche quella notte non avevo dormito bene. Ero emozionata:mio padre mi aveva promesso che saremmo andati tutti a Gardaland e immaginati una bambina di nove anni come potrebbe prendere una notizia del genere. Ero la bambina più felice del mondo e già alle quattro di pomeriggio del giorno prima ero sull'attenti, ansiosa e pronta con il mio zainetto sulle spalle. Appena la sveglia suonò quella mattina, mi alzai dal letto e corsi verso la camera dei miei genitori. Cominciai a saltare sul lettone dei miei. Avevo un gigantesco sorriso in faccia, al contrario di mio padre che stava ancora dormendo imperterrito.Andai dalla mamma e le dissi: "Papà non si sveglia." Vidi mia madre avvicinarsi al corpo di papà e smuoverlo per qualche secondo. "Tesoro. Tesoro... Tesoro..."Mise una mano sul suo collo e cominciò a respirare affannosamente. Si asciugò una lacrima dalla guancia, prese un bel respiro e mi disse: "Gabriella, torna a dormire." " Ma io voglio andare a Gardaland!" Mi prese per il braccio, mi portò fuori dalla stanza e chiuse la porta dietro di sé. Non riuscivo a capire cosa fosse successo. Un sacco di domande mi si affollavano nella testa ed io ero solo una bambina di nove anni per poter dare loro una risposta. Avrei capito più tardi che mio padre aveva avuto un infarto ma che fortunatamente si era salvato per miracolo. Il tono di mamma quella mattina era lo stesso. "Il papà...se n'è andato" balbettò mia madre. "Cosa vuol dire?" Avevo appena undici anni,pensavo ancora a non perdere nessuna puntata del 'Mondo di Patty', non potevo concepire una cosa così complicata come la morte. "È morto." Immaginai subito come la mamma avesse passato le ultime ore: sicuramente a piangere per non scoppiare in lacrime di fronte a me, per sembrare la donna forte e fredda di sempre. Io inizia a tremare e il mio corpo era percorso da brividi caldi e freddi. Non riuscivo a fare niente. Non capivo cosa mi stesse succedendo. Non capivo più la realtà, il mondo, il senso di tutto ciò. La crudeltà della vita si era svelata troppo presto. Avrei voluto richiudere gli occhi e lasciarmi andare. Non svegliarmi più. Restare sulle nuvolette rosa a giocare con papà e mamma alla famiglia felice. Non concepivo come una persona viva e frizzante come mio padre potesse lasciare il suo corpo, potesse scomparire e lasciare un unico involucro vuoto. Ma la domanda che mi frullava nella testa era 'Perché lui?'Perché mio padre e non un assassino? Perché una persona buona come lui che nella sua vita non aveva fatto male neppure ad una zanzara? Perché mi hanno tolto il mio papà? Come avrei fatto senza di lui? Mi sarei svegliata ogni mattina senza sentire l'odore amaro del caffè. Avrei mangiato in cucina senza la radio che emetteva quelle strane musiche country. Non avrei mai più avuto uno di quelli abbracci stritolatori. Non avrei più rivisto il sorriso che mi dedicava davanti all'uscita di scuola. Non avrei più assistito ai baci dolci che dava alla mamma. Non ci sarebbe stato più niente che apparteneva a lui. È' inutile che mi dicano che sarà sempre nei miei pensieri e nel mio cuore, che lo ricorderò sempre; perché nonostante questo lui non è di fianco a me a tenermi la mano e ad abbracciare la mamma. Il fatto che sia morto l'ho accettato, però non so accettare la sua assenza. Il dolore che mi provoca non trovarlo di fianco ridere dopo una battuta anche se io sento la sua risata. Oppure sentirlo esultare per un gol e non vederlo in piedi sul divano con la faccia colorata. Quell'assenza sarebbe rimasta, perché non è vero che il tempo cura le ferite sei solo tu che cerchi di concentrarti su altre cose invece di pensare unicamente al tuo dolore.Poi un giorno ti ritrovi a vivere la routine della tua vita abituandoti ormai a tutto quello che manca fino a quando tua madre ti blocca sulla porta d'ingresso dicendo: "Sei sicura di voler andare a scuola? Alle due c'è il funerale"annullando tutta la tua forza di volontà nel rendere la tua vita normale. I funerali. Io odio i funerali. Penso siano qualcosa di veramente finto dove si possa valutare l'abilità di recitare in ogni persona presente. Ci sono gli insensibili che probabilmente sono quelli che soffrono di più; quelli da una botta e via, cioè ascoltano la cerimonia, si lasciano scappare una falsa lacrimuccia, ti fanno le condoglianze e se ne vanno al lavoro, perché dopotutto hanno ragione non è una cosa che li riguarda; infine ci sono i finti, sono quelli che si disperano, che nella borsa hanno eternità di fazzoletti, che durante la cerimonia non fanno altro che soffiarsi rumorosamente il naso e che alla fine quando devono andarsene ti abbracciano e ti sussurrano all'orecchio: "So quanto stai soffrendo" mentre dentro gioiscono del fatto che non sia capitato a loro. Come in ogni rispettabile funerale anche in quello di mio padre c'erano gli stessi soggetti. A me non importava, ero rinchiusa nel mio dolore. La cerimonia passò in fretta forse perché non l'ascoltavo. So solo di aver prestato attenzione nel momento in cui mia mamma si schiarì la voce per parlare e lesse velocemente e senza emozione tutto quello che aveva scritto sui biglietti. La odiavo e papà odiava vederla così fredda e dura. Non sarebbe riuscita a tenere dentro quel dolore immenso. Non mostrava niente come se papà non fosse la persona con cui era sposata da anni, non fosse la persona con cui aveva concepito una figlia e non fosse l'unico amore della sua vita. Accanto a me c'era Ashley che mi teneva stretta la mano. Potevo rendermi conto di quanto stesse soffrendo anche lei. Mio padre era anche il suo padre adottivo. Grazie a quel contatto sentivo di non essere sola sotto quella nuvola, c'era anche lamia migliore amica e si sa che il team Moore-Smith riesce sempre a far nascere il sole. 

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