CAPITOLO 2: Blaine

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BLAINE

Dormire su quel letto era stato sempre meglio che dormire per terra.

Avevo detto a Lea che avrei dormito sul pavimento ma tanto appena lei si fosse addormentata sarei sgattaiolato di fianco a lei.

Sentivo, o più che tutto vedevo, che il nostro potere ci univa, ci faceva restare un po' più vicini, in qualche modo.

Mi girai nel letto e notai che non c'era nessuno di fianco a me.
Dov'era andata? Sarà scappata? Perché avrebbe dovuto, tanto stavamo andando nello stesso posto.

Mi alzai frettolosamente e presi di slancio la felpa blu scuro che avevo lasciato sopra la cassettiera.

Mancava poco che non rotolassi giù dalle scale; ero preoccupato, non volevo che se ne andasse, non volevo che mi lasciasse solo anche lei.

< Ho scoperto che non si può far ripartire il tempo che qualcun altro ha fermato. > Lea era seduta ad un tavolo che beveva da una tazza di ceramica bianca.

La guardai stupefatto; non era scappata...

< Che c'è? > mi chiese con delicatezza e gli occhi verdi a palla.

< Niente, pensavo che te ne fossi andata, ho pensato che mi avessi lasciato solo, come gli altri. > In realtà non volevo dirle quelle esatte parole, ma il mio cervello in quel momento non era collegato con la lingua, ero felice.

< Non me ne vado senza di te. Ora che ho trovato una persona come me pensi che me la lasci sfuggire così? >

Le sorrisi e andai a sedermi allo stesso tavolo.

Era da quando ho scoperto di avere quel potere che cercavo una persona come me, una persona con le mie stesse capacità, e l'avevo trovata ed ero al settimo cielo.

Lea mi offrì la sua metà non mangiata di brioche e poi ce ne andammo, non prima di aver fatto ripartire il tempo.

Nel viaggio, sempre a piedi, ero riuscito a cavarle alcune cose, mi ha raccontato un po' di lei.

Mi ha detto che all'orfanotrofio in cui si trovava non era benvista da tutti, che aveva passato un'infanzia piuttosto brutta e che voleva scoprire cos'era successo ai suoi genitori.

Anche io ho sempre vissuto in un orfanotrofio; le persone che lo dirigevano non mi avevano mai raccontato da dove venivo e chi erano stati i miei genitori.
Essendo stato un bambino molto...energico ne combinavo di tutti i colori: ad esempio una volta ho messo della colla sulla sedia della direttrice.

Non ero mai stato preso in giro, nessuno ci aveva mai provato. Un po' perché da piccolo rimanevo nell'ombra e non mi facevo vedere molto e un po' perché da grande ero diventato quasi una persona dark. Tutti mi stavano alla larga, non avevo amici ed ero solo.
Non ero strano, mi vestivo solo di nero e non parlavo con nessuno ma non è che gli altri provavano a colloquiare con me.
Alla fine ho capito che era meglio soli che mal accompagnati.

< Vedo che anche tu hai una collana...> mi disse la ragazza al mio fianco.

< Si, ce l'ho da quando sono nato, così mi hanno detto all'orfanotrofio. >

La mia collana era un piccolo orso di legno, era scolpito nei minimi dettagli: dagli artigli ben disegnati alle orecchie rotonde e dritte. Ho sempre pensato che questo ciondolo fosse l'ultimo regalo dei miei genitori.

< Il tuo è un grifone, molto bello. >

Non parlammo più per tutto il tempo. Io alcune volte mi mettevo a canticchiare canzoni che avevo sentito in tv ma Lea proprio non apriva bocca.

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