CAPITOLO 21: Lucas

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LUCAS

Fuori continuava a piovere ininterrottamente da due giorni e tutti noi eravamo da due giorni rinchiusi in casa.

La nostra pazienza era stata messa a dura, e quelli il cui unico scopo era stare fuori all'aperto a fare qualcosa di utile stavano impazzendo.
Uno era Ben che stando in casa non faceva altro che fare fastidio agli altri ragazzi.

Fermare il tempo non era un'opzione che si poteva usare, si sprecavano solo energie e basta.

Adrian aveva provato a fare qualcosa ma, probabilmente, quella pioggia era mandata da qualcuno di superiore.

Benjamin mi aveva proposto di andare in stanza a restare lì cosicché lui non potesse fare sclerare gli altri ulteriormente.
Era sgattaiolato nella dispensa per poter prendere qualcosa di non esattamente sano da mangiare e quello che mi sorprese più di tutto era che io gli permettevo di farlo.

Dato che la nostra stanza era proprio sotto il tetto i picchietii della pioggia si sentivano molto di più e entrambi avevamo fatto fatica a dormire nei giorni precedenti; almeno io ero stanco e volevo dormire una notte in santa pace ma ero disposto a fare un piccolo sacrificio per il ragazzo arcobaleno.

< Ti giuro, mi sembra di essere tornato in quei due giorni nella dispensa dell'orfanotrofio. Qui, in realtà, non sono scappato, più o meno, ma mangiare questa robaccia mi fa ricordare i vecchi tempi e forse sarebbe meglio non ripensarci perché non erano bei tempi per me; assomigliavo ad uno spaventapasseri con quei capelli. > fece un verso di disgusto, rise con una felicità tale a quella dei bambini e poi si mise un pezzo di cioccolato in bocca.

Era tremendamente carino.

Ci eravamo sistemati sul suo letto e, oltre al fatto che non lo rifaceva mai, si sarebbe riempito di briciole.

< A te viene in mente qualcosa? Se la risposta è no fa niente, non per forza ti deve ricordare qualcosa ma magari un momento di quan- >

< Mi ricorda mia madre, quella adottiva intendo. > alcune volte era opportuno interromperlo e lui non si offendeva perché sapeva benissimo di parlare tanto.

< Che cosa di preciso? > si sforzò di fare una frase breve; a me piaceva ascoltarlo sarei rimasto ad ascoltare la sua voce per ore tuttavia in certi momenti si accorgeva da solo di allungare troppo le conversazioni.

< La maggior parte delle sere io e mia madre adottiva passavo il tempo a guardare la tv e a mangiare schifezze di ogni genere. Il sergente Wilson, cioè mio padre, viveva praticamente sempre in caserma e noi avevamo casa libera.
Ti sto parlando di cinque anni fa, quindi avevo tredici anni; mia mamma è morta sei mesi dopo.
Durante quel serate lei stava già male però non me lo aveva far sapere per non farmi stare male in anticipo.
Non sono come un donna così buona e bella potesse stare con un uomo come Thomas; era un prepotente e un turbolento. > presi un lungo respiro e continuai il mio racconto.
< Decisero di informarmi della sua malattia tre mesi prima della sua morte. Passavo tutto il tempo dopo scuola da lei in ospedale e alcune volte, quando riuscivo a farla ridere,  fermavano il tempo per poterla guardare ancora per un po'. > ormai parlare di lei non mi faceva più così male come prima.

Ben mi guardò con gli occhi lucidi e cercò di parlare. < Mi dispiace tanto. Forse è davvero troppo tardi per le condoglianze....Se avessi avuto una madre, anche se una mamma l'avevo perché sennò non sarei qui, l'avrei amata come tu amavi tua madre adottiva. E...e...mi dispiace davvero che tu continui a stare male perché, giustamente, ti manca ed io mi sto prolungando troppo ma pazienza perché voglio farti cap- >

Lo feci così, senza pensarci, senza dubitare della mia scelta.
Lo baciai...

All'inizio rimase un po' sorpreso dal mio gesto ma poi ricambiò e quel bacio fu il migliore della mia vita.
Le sue labbra erano sottili ma morbide, sapevano di sale, per via delle varie patatine mangiate prima.
Sentivo il suo respiro conciliato al mio.

Io almeno, mi sentivo la persona più felice del mondo, non avrei mai voluto, per colpa della troppa felicità, prendere fuoco nella stanza.
Era un bacio molto tranquillo di per sé però erano i nostri sentimenti a non esserlo.

Volevo che durasse per sempre ma purtroppo dovevamo respirare.

< S-se non l'avresti fatto tu l'avrei fatto io. > mi dichiarò Ben ansimante e sorridente.

Si guardò un attimo intorno toccandosi i capelli e poi mi saltò letteralmente addosso; non avevo neanche capito con quale velocità l'aveva fatto.
Era a gambe incrociate sul letto e avere avuto quella velocità era difficile.

Io mi trovavo sul bordo del letto e se non mi fossi spostato di qualche centimetro più in mezzo al materasso saremmo caduti tutti e due.

Le sue braccia erano intorno al mio busto e dietro la mia schiena e aveva a testa appoggiata al mio petto, come quando l'avevo ritrovato il mattino dopo che avevamo dormito insieme.

I suoi meravigliosi capelli biondi mi solleticavano il viso.

< Grazie. È difficile sopportarmi e alcune volte parlo davvero troppo però tu mi ascolti sempre, come se fossi la persona più importante in quel momento, e questo mi fa piacere.
Il punto è che tu mi piaci e spero di piacerti pure io perché sennò questo momento è davvero imbarazzante
e... >

< Shh...mi piaci anche tu, altrimenti perché l'avrei fatto? > gli chiesi con molta disinvoltura.

< Per farmi stare zitto? > propose lui.

< Sai i colpi di fulmine? Ecco io sono in quella situazione e penso che mi abbia colpito un fulmine bello potente. > lo sentii ridere e mi rilassai molto di più.

Si alzò di scatto e mi guardò serio, un fatto strano per lui.

< E adesso? Gli altri non sanno di te ed io non so cosa siamo e non vorrei fraintendere tutto questo. > con l'indice indicò me e lui.

< Gli altri, se si reputano davvero la mia famiglia, mi accetteranno ma penso che lo sappiano già, e sulla questione di noi due...dimmelo tu. Cosa vuoi? >

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