17. Fratelli giganti e buoni

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▶️Camila Cabello - Havana

Prima parte

Sfogliai la pagina successiva del libro di Letteratura, inchiodando i miei occhi nelle lettere nere trascritte sullo sfondo bianco, con l'intenzione di mettere a fuoco le frasi, con scarso risultato.
Nonostante cercassi, con una grande quantità di buona volontà, non riuscivo a concentrarmi su ciò che stavo studiando.
Oramai era la quarta volta che provavo a rileggere un paragrafo stampato in corsivo, senza memorizzarne a pieno il contenuto.

La motivazione al mio comportamento?
Mi sentivo osservata.
Ad essere pienamente onesta, provavo questa sensazione da ben due giorni ad ora, precisamente dal giorno in cui si era svolta la "rissa" nell'atrio dell'edificio principale della Columbia, fra Cameron ed Isaac.
Agli occhi delle persone esterne, cimentarsi all'interno di un incontro, era pura follia.
Ma, a me la gente folle era quel pizzico di pepe che mancava alla solita routine, mi piacevano.
Profumavano di vita.

Continuavo a picchiettare nervosamente la penna - che tenevo fra l'indice e il medio - sul banco, producendo un continuo ticchettio all'interno delle mura silenziose della biblioteca scolastica.
Eisel buona continuava a consigliarmi di non reagire, tentava di tenere a freno e al guinzaglio la bomba, che il lato di Eisel cattiva cercava di mettere in esposizione al pubblico. E a dirla tutta ci stava riuscendo a pieno nel suo intento, la miccia era stata accesa e in breve tempo si stava accorciando.

Puff.

"Vi serve una chiavetta USB, per finire di memorizzarmi?" Parlai alzando volontariamente i gradi della mia tonalità di voce, facendo voltare immediatamente i loro volti in direzione del libro che avevano sul banco e facendo placcare i vocii, che tornarono ad essere il silenzio che si dovrebbe regnare in una Biblioteca.

Eisel cattiva, all'interno della mia testa, sorrideva compiaciuta per la mia reazione. Mentre l'immagine di Eisel buona la guardava, a braccia conserte, con disapprovazione.
Sbuffai scuotendo leggermente la testa, per sfumare le immagini contrastanti delle mie diverse personalità, che non mi lasciavano un minuto di tregua.

Mi alzai dal posto - su cui ero comodamente seduta - producendo un fastidioso rumore con i gambi della sedia, ricevendo un'occhiataccia - non particolarmente gentile - dalla Bibliotecaria, che si occupava di mantenere il funebre silenzio negli angoli di questo luogo.

Gettai - con non curanza - la matita e gli evidenziatori, che mi erano serviti per poter evidenziare le frasi dei paragrafi più importanti nei testi, all'interno dell'astuccio. Appoggiando quest'ultimo sopra alla superficie del libro - oramai chiuso - che presi fra le braccia, per stringerlo al petto con una leggera pressione.

Feci il giro del tavolo, incamminandomi - successivamente - verso l'uscita con l'intenzione di oltrepassare la soglia.
Probabilmente il gps, che era la mia testa, sbagliò direzione facendomi andare a sbattere contro qualcuno.

Non potevo di certo pensare, che la base solida su cui mi ero accidentalmente imbattuta, potesse essere il petto - ricoperto da uno spessissimo tessuto in lana - appartenente alla figura di Cameron. Che non appena riconobbe la figura davanti a sè, non perse tempo a trasformare le labbra piene in un ghigno.

Oltrettuto, non era solo.
Di certo, non poteva passare inosservato la ragazza - che in piedi al suo fianco - lo accompagnava, con le braccia strettamente avvolte nel suo avambraccio e con lo stesso sorriso - di chi non prometteva nulla di buono - sulle carnose labbra tinteggiate dal colore rosso, che si abbinavano - quasi a farlo appositamente - ai boccoli bordeaux che le incornicciavano il viso.

Abbassai lo sguardo cercando di imboccare delle scorciatoie, per evitare un qualsiasi contatto visivo e di far atterrare - immediatamente - una qualunque conversazione pronta al decollo.
Non avevo nessuna intenzione di intraprendere un dialogo con lui.
Avevo davvero creduto che potesse essere un buon amico, una persona con cui poter scambiare quattro chiacchiere davanti ad una buona tazza di caffè.
Evidentemente, mi sbagliavo.

Il ragazzo della 113 | Noah CentineoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora