28. Il ballo

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Il sapone è per il corpo quello
che le lacrime sono per l'anima.
Proverbio Yddish

▶️BTS - So far away

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Prima Parte

"Oggi una ragazza della mia città, ha cercato di uccidersi." Parlò la voce rauca del Professore Sullivan, appoggiato alla cattedra, con in mano uno dei suoi famosi fogli, estratti dalla grande e fedele pila di fogli, che ad ogni lezione si portava appresso. Pronto ad insegnarci - anche quest'oggi - i valori della vita. "Ha preso e si è buttata dal secondo piano. No, non è morta. Ma la botta che ha preso, ha rischiato di prenderle la spina dorsale. Per poco non le succedeva qualcosa di peggiore della morte: la condanna di restare tutta la vita immobile e senza poter comunicare con gli altri normalmente. "Adesso sarete contenti. Ha scritto. Parlava rivolta ai suoi compagni." Mormorò il Professore, staccandosi dalla cattedra per poter iniziare a camminare fra i piccoli corridoi dell'aula. Aveva l'aria stanca, le linee d'espressione sulla fronte e agli angoli degli occhi, erano più evidenti del solito. La barba grigia e leggermente ingiallita, probabilmente a causa del tabacco, incorniciavano le sue labbra sottili. "Allora adesso vi dico io una cosa. E sarò anche più duro del solito, vi avverto. Ma ho questa sensazione dentro di me ed è difficile lasciarla lì, sono un professore e mi sento - come tale - di dovervi insegnare, oltre alla mia materia, anche sulle situazioni che la vita ogni giorno ci pone davanti. E quindi vi chiedo, quando la finirete?" Domandò, senza - però - rivolgersi direttamente a qualcuno in particolare. "Quando la finirete di mettervi in due, in tre, in cinque o addirittura in dieci contro uno? Quando la finirete di fare finta, che le parole non sono importanti, che restano "solamente parole" e che non hanno delle conseguenze. E poi vi mettete lì, a scrivere quei messaggi. Sì esattamente, i messaggi che siete capaci di scrivere tutte le vostre troia di merda, i vostri figli di Puttana, i vostri devi morire. Quando la finirete di dire: "Ma sì, io scherzavo", dopo essere stati capaci di scrivere non meriti di esistere? Quando la finirete di ridere e di ridere così forte, quando passa una ragazza più in carne o molto più magra di voi. Quando la finirete di indicare con il dito il ragazzo che ha il professore di sostegno? Quando la finirete di dividere il mondo in fighi e sfigati? Che cosa deve ancora succedere, perchè la finiate? Che cosa aspettate? Che tocchi al vostro compagno, alla vostra amica, a vostra sorella, a voi? E poi, voi. Sì, voi genitori. Voi che i vostri figli sono quelli capaci di scrivere certi messaggi. O quelli che ricordo così forte. Quando la finirete di chiudere un occhio? Ma quando la smetterete di dire Ma sì, ragazzate? Quando la finirete di non avere idea di che diamine ci fanno otto ore al giorno, i vostri figli, con quel telefono? Quando la finirete di non leggere neanche le note e le comunicazioni che scriviamo sul libretto personale? Quando la finirete di venire da noi insegnanti una volta all'anno, se va bene? Quando inizierete a spiegare ai vostri figli, che la diversità non è una malattia, o un fatto da ridere, quando inizierete a non essere voi i primi a farlo? Perchè da sempre non sono le parole, ma gli esempi, gli insegnamenti migliori? Perchè quando una ragazzina di dodici anni prova a buttarsi di sotto, non è solo una ragazzina di dodici anni che lo sta facendo. Siamo tutti noi. E se una ragazzina di quell'età decide di buttarsi giù, non lo sta facendo da sola. Una piccola spinta arriva da tutti quelli che erano lì, che non hanno visto, che non hanno fatto o non hanno detto. E tutti noi, proprio tutti, siamo quelli che - quando successioni cose come queste - devono vedere, fare, dire. Anzi urlare. Una parola, una sola. Ed è: Basta." Dichiarò Sullivan, appoggiando il foglio sulla cattedra, dopo aver finito di leggere, lasciandoci - come suo solito fare - con il fiato sospeso.

Il ragazzo della 113 | Noah CentineoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora