19. Maglioni imbarazzanti

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L'amicizia è ...

▶️ Friends - Justin Bieber

I Fūrin - campanellini tipici del Giappone, utilizzati per tenere lontani gli spiriti o le presenze maligne - erano appesi alla porta del Blake e avvisavano, alle persone presenti all'interno del locale, l'arrivo dei clienti con il loro suono particolare.

Dopo l'incubo, che mi aveva fatto svegliare - di soprassalto nel letto - quella mattina stessa, mi ero precipitata immediatamente qui, con l'intento di placcare lo strano peso che provavo nel petto, con una grande tazza di caffè estremamente zuccherata.

Aprii la chiusura a zio del mio giubbino, sentendo subito il calore che si presentava, molto più accogliente rispetto all'aria fredda esterna al locale. Superai un tavolino su cui vi era seduto un anziano signore, intento a leggere a voce esageratamente alta un giornale che teneva fra le mani. Ottenendo sguardi di disapprovazione dai clienti attorno a lui, ma non sembrò importargliene più di tanto.

Appoggiai l'indumento sullo sgabello alla mia destra  e mi accomodai, appoggiando i gomiti sul bancone e la testa fra le mani, lasciando che i capelli scivolassero sul mio volto.
Sentivo le palpebre pesanti, il desiderio di chiuderle e di addormentarmi qui era davvero altissimo. "Non hai una bella cera." Parlò una voce maschile, facendomi alzare lentamente la testa in sua direzione.

Trovai il sorriso timido e gentile di Scott, nel mentre asciugava velocemente qualche tazzina, rimettendole negli appositi spazi.
Teneva i lunghi capelli raccolti da un elastico nero, facendo risaltare il viso magro e pallido. La divisa del lavoro, una camicia color crema e un paio di pantaloni beige, gli ricadevano addosso con due taglie più grandi, facendolo sembrare estremamente esile sotto quegli ammassi di tessuti.

Provai a ricambiare il sorriso, nonostante assomigliasse più ad una brutta smorfia, facendomi desistere nel mio intento. "Ho urgente bisogno di una grande, enorme e gigantesca quantità di caffeina." Mormorai. "Puoi accontentarmi?"

Annuì con la testa, rivolgendomi un ok con il pollice in mia direzione. "Arriva subito!" Dichiarò dandomi le spalle, per poter preparare ciò che desideravo da quella mattina.

Tornai ad appoggiare la testa fra le mani, chiudendo successivamente le palpebre. E alla distanza di qualche secondo, sentii un forte odore di tabacco invadermi le narici, avvisandomi della presenza di qualcuno alla mia sinistra.

Aprii un occhio, sotto la protezione della montatura dei miei occhiali, ritrovandomi l'immagine di un anziano vecchietto - dai dolci delineamenti -  con un gomito appoggiato al bancone, la testa appoggiata sul palmo della mano e le gambe che penzolavano nell'aria, vista la sua bassa struttura fisica.
Mi sorrise, mettendo in risalto le labbra sottili - coperte da una folta barba grigia - e i denti ingialliti dovuto all'eccessivo uso di sigari, pensai guardando fugacemente il contenitore sopra al bancone, con all'interno questi ultimi.

Mi limitai a ricambiare con un accenno del capo, tornando sucessivamente a chiudere gli occhi, gesto che l'anziano mi impedì di fare.
"Giovane, ma lei sa che cos'è l'amicizia?" Mi domandò  improvvisamente, prendendomi nettamente alla sprovvista. Di certo non mi aspettavo di sentire quella questione, ma gli anziani avevano quella splendida capacità di sorprenderti e acchiapparti nei loro discorsi.

L'amicizia?
Alzai la testa, appoggiando le braccia sul bancone e raddrizzando la schiena. Aprii la bocca in una circonferenza, per poter rispondere, ma venni puntualmente interrotta.
"Lo vedi quel signore seduto laggiù?" Domandò indicandomi con una mano, incallita e rovinata dal duro lavoro procuratosi durante gli anni, in direzione del signore che leggeva il giornale - ad alta voce - da ben dieci minuti a questa parte. "È il mio migliore amico, sai? Entrambi siamo venuti al mondo nel '39, nati e cresciuti insieme." Mi confessò con lo sguardo rivolto all'uomo, gli occhi chiari brillavano al ricordo che - molto probabilmente - gli attraversarono la mente. "Alle sue nozze gli ho fatto da testimone e lui, a sua volta, lo ha fatto alle mie. Abbiamo comprato la terra da lavorare insieme e tutti i giorni venivamo proprio in questo bar, prendevamo un bianchino e leggevamo le notizie. Lui me le leggeva, perchè non so leggere, io mi limitavo ad ascoltare." Continuò ottenendo oramai la mia completa attenzione, nonostante fosse tremendamente insolita quella situazione. "Nel '78 abbiamo avuto una lite, ce le siamo anche date. Da quel giorno non ci siamo più parlati, nemmeno un saluto." Parlò abbassando di gradi, la tonalità della voce rauca. Passandosi lentamente una mano sulla barba, riappoggiandola successivamente sulle gambe fasciate da un pantalone a sigaretta bianco. "Beh, ti dirò. È dal '78, nonostante le divergenze, che ogni giorno veniamo qui sempre alla stessa ora. Ogni giorno ci vediamo, non ci salutiamo, ci sediamo in due tavolini differenti ed entrambi prendiamo un bianchino. Tutti i giorni prende il giornale e legge le notizie ad alta voce. Le persone pensano che sia matto." Mi informò, con un evidente tristezza nell'espressione del volto. Mettendo in risalto le diverse pieghe sulla fronte e delle linee - un evidente accenno alla vecchiaia - attorno agli occhi, protetti dalle lunghe ciglia. "Ma lo fa per me, dal '78." Annunciò traformando le labbra sottili in un sorriso sincero e affettuoso, lo sguardo rivolto all'anziano seduto sul tavolino e i ricordi di un passato felice ad abbracciarlo.

Il ragazzo della 113 | Noah CentineoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora