4~ In bilico

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Colonna sonora: In the end- Linkin Park

Elio fece per bere da una lattina, ma in bocca gli finì solo qualche goccia sgasata. 

Erano trascorsi cinque anni da quando aveva messo piede nella UFP numero 4 di Philadelphia. Da allora ogni singolo giorno era una piccola tappa di un viaggio negli inferi in cui, per una sorta di distorsione temporale che avveniva nella sua mente, i minuti parevano ore e la sera non arrivava mai. Eppure gli sembrava ieri l'ultima volta in cui, guardandosi allo specchio, aveva visto un uomo di cui andava fiero. 

 Schiacciò il tasto 'pausa' sul telecomando e si alzò dal divano. 

Rastrellò i barattoli vuoti dal tavolino, ormai solo forme schiacciate, e se li caricò su un avambraccio, teso a mo' di mensola appena sotto al petto.

Si diresse ciondolando alla cucina.

«Pa', ma hai cambiato la combinazione della cassaforte?» strillò Noe.
Come una freccia guizzò dal corridoio, la sua voce era stata lo scocco.

Elio saltò in aria e la composizione di lattine si sfaldò. Di sette che ne erano, ne salvò con destrezza due; le altre schizzarono via.

«Quante birre ti sei bevuto?» domandò Noe, osservandolo con un'espressione che avrebbe potuto essere quella di un padre che sorprendesse un figlio ubriaco di domenica mattina.

Tuttavia era il figlio ad avere sorpreso il padre: Elio che, nel tentativo di raccogliere le latte da terra, riuscì a far cadere anche quelle che aveva preservato.

Cercò di dissimulare la sbronza, o almeno di farla sembrare meno grave di quello che era.

Noe incrociò le braccia. I suoi occhi nero ebano esprimevano riprovazione. Gli anelli d'acciaio inseriti nella sua carne, uno per sopracciglio, contribuivano a incattivirne lo sguardo.

«Sono le dieci di mattina...» disse con un tono che era una punizione.

«Lo so già che ore sono» disse Elio. «Beh? Perché te ne stai impalato a guardarmi?» aggiunse.

«Perché ti ho fatto una domanda, poco fa.»

Elio rimase muto, in mano un'unica lattina che aveva appena raccolto. Noe dovette ripetersi: «Hai cambiato la combinazione della cassaforte?»

«Perché avrei dovuto farlo?»

«Non lo so, forse ci hai nascosto qualche bottiglia...»

«Come ti permetti?» Elio si erse dritto sul busto a far valere la sua autorità genitoriale, ma erano lontani i tempi in cui, quando lo faceva, si trovava davanti un ragazzino intimorito. Ora di fronte aveva un quasi uomo di diciotto anni, che lo superava in altezza, in forza e anche in buon senso. Soprattutto, quello che vedeva era un ragazzo sano, completamente guarito da quel male che aveva trasformato le loro vite in un inferno.

«State calmi, voi due, ho cambiato io la combinazione» disse Maria trascinandosi dietro il mocio e un secchio che doveva essere pieno d'acqua, visto come il peso la tirava da un lato.

Si fermò vicino al mobile a credenza. Lasciò gli attrezzi per pulire e prese la penna a sfera che stava sul ripiano accanto a un taccuino. Scrisse qualcosa sul primo foglio e lo staccò.

Lo consegnò a Noe.

«Ecco la nuova combinazione» disse. «Quando l'avrai imparata a memoria, straccia il foglio.»

Noe si allontanò senza aggiungere nulla alla precedente discussione.

Elio udì il cigolio della porta della camera matrimoniale e ricordò che avrebbe dovuto oliarla.

Sentì lo scatto della specchiera che si sganciava da un lato per poter essere girata come uno sportello e scoprire la cassaforte a muro. Qualche altro clack e Noe ricomparve con la sua valigetta porta pistola.

«Vado al poligono, torno per pranzo» disse. Baciò Maria e, rivoltosi a lui, si limitò ad arcuare un sopracciglio, con fare superiore, come se lo disdegnasse.

«Che diavolo vuoi? Vuoi farmi vedere come riesci a tirare su quello stupido anello con quel dannato sopracciglio? Perché non ci appendi dei pesi a quei piercing da idiota, eh?»  sbraitò Elio, ma Noe gli voltò le spalle e se ne andò. 

 «Dopo tutto quello che ho fatto per lui!» strillò allora rivolgendosi a Maria.

Maria sbatté il mocio a terra e gli schizzi le bagnarono le scarpe.

«Adesso basta, non ce la faccio più ad andare avanti così!»

«Tu non ce la fai, ma davvero?»
La voce gli uscì come una grattata d'unghie su una lavagna. Nella mente gli vorticò tutta la serie di cose che era pronto a vomitarle addosso, ma lei lo anticipò: «Non c'è bisogno che me lo rinfacci, lo so che sei tu che porti il peso più grande in questa famiglia, che fai un lavoro schifoso per mantenerci e per finire di pagare le terapie di Noe, ma noi abbiamo bisogno anche di te, non solo di soldi!»

Rossa in faccia, si mise a strusciare il pavimento con tanta foga che sembrava chissà che razza di sporcizia dovesse pulire.

«Noe è guarito, ora devi guarire anche tu» aggiunse. Fino a un momento prima si sgolava, ma quelle ultime parole le aveva dette piano, con un tono che suonava come un ultimatum.

Elio controllò un conato di vomito ed emise uno sbuffo d'aria.

«Ah sì? Ci andrai tu a uccidere della gente al posto mio?»

Maria si fermò. Il mocio divenne il bastone che la aiutava a stare in piedi.

«Lo capisco quello che stai passando, sul serio. Non vuoi sapere perché ho cambiato la combinazione della cassaforte? Beh, l'ho fatto perché tu non potessi aprirla e non avessi più accesso alla pistola che custodiamo lì dentro. Ti è chiaro così o devo spiegarmi meglio?»

Elio percepì quelle parole come un calcio alla bocca dello stomaco e riuscì solo a biascicare alcune sillabe in risposta: «Ma cos...»

«Sto dicendo che temo tu possa usarla per farti del male! Oh, diavolo. Tu, tu devi farti aiutare. Altrimenti questa famiglia non ha più motivo di esistere. »

«Cosa vorresti dire, che vuoi lasciarmi?»

«Non voglio farlo, ma lo sto considerando.»

Sbattuto al muro da quel macigno, Elio percepì un profondo senso di abbandono, un vuoto incolmabile e doloroso.
Era faccia a faccia con la disperazione e credeva di avere ormai perso la sfida, quando un fievole barlume di motivazione si accese in lui salvandolo dal buio assoluto di quel momento.

L'ultimo olocaustoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora