23~ Ambiguità

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Colonna sonora: Mezzanine- Massive Attack

Amhid Kassir

Amhid visualizzava l'andamento di alcuni grafici sul display olografico sospeso di fronte al suo volto.  

Spostava le mani su complesse formule matematiche, ne scorreva i passaggi e controllava per l'ennesima volta i risultati dei suoi calcoli.

Ce l'ho fatta, esultò tra sé e sé. Sfiorò ancora qualche tasto sulla tastiera laser, con l'entusiasmo di un direttore d'orchestra sulle ultime note di un concerto. La stanchezza dell'ennesima notte insonne gli scivolò via, sostituita dall'eccitazione, nel momento in cui la stampante iniziò a sputare fogli. Si affrettò a raccoglierli e li ripose in una ventiquattrore già zeppa di fascicoli.

Mentre esercitava pressione in modo da comprimerne il contenuto, avvertì un tocco sulla spalla. Lo spavento fu come un ordigno esploso dentro il suo petto. Serrò la valigetta e si voltò.

«Sono le cinque del mattino dottor Kassir, non mi dica che è rimasto qui tutta la notte» disse Shaddad, severo, alle sue spalle.

Non aveva fatto alcun rumore entrando nel laboratorio sotterraneo.

«Dottore, mi sono lasciato prendere la mano. Lei invece è di buon mattino.»

«Forse dovrebbe concedersi un po' di riposo» suggerì Shaddad, senza motivare la sua presenza a quell'ora.

«Probabilmente ha ragione.»

Shaddad accennò un sorriso che fece apparire demoniaca la sua faccia scarna.

«Certo che ho ragione, dottor Kassir, ho notato che si impegna più di tutti gli altri uomini. Rimane qui molte ore alla sera, anche da solo. Benché lo apprezzi, mi sembra che stia esagerando.»

«Lo so, Dottore. Sono così preso dal progetto che il tempo vola via senza che me ne renda conto. Comunque, per oggi, credo che basti così. Con permesso, vado a riposare un poco.»

Amhid afferrò il manico della sua ventiquattrore. Ansioso di sottrarsi a quella conversazione, si dileguò.

Shaddad aveva fiutato qualcosa, ne era certo.

Il rumore degli impianti di ventilazione nei corridoi sotterranei era dannatamente ostile: se qualcuno avesse deciso di seguirlo, non ne avrebbe udito i passi e non avrebbe potuto accorgersene se non voltandosi e destando ulteriori sospetti sulla sua ambiguità.

Aggiustare quei maledetti silenziatori sarebbe troppo?

Accelerando progressivamente l'andatura per non sentire più quel frastuono, raggiunse la superficie e si inoltrò per la strada lastricata che andava ai bungalow. Stava albeggiando.

Youssef Tahimàd

Erano le dieci di sera, a Philadelphia, quando lo shifter di Youssef Tahimàd si mise a squillare. Stava pazientemente assemblando un puzzle che raffigurava un'oasi verde tra dune sabbiose.

Incastrò un tassello e rispose.

Dall'altro capo del mondo, parlò Shaddad: «Signor Tahimàd, ho da riferirle riguardo al dottor Kassir. Sono certo che i dubbi che nutrivo sul suo conto siano fondati».

Tahimàd rimase in silenzio, in attesa di ulteriori spiegazioni.

«L'ho sorpreso in laboratorio a fare qualcosa che non ha nulla a che vedere con il compito che gli è stato affidato. Non so esattamente cosa stia combinando, ma sono sicuro che non ha la coscienza pulita. Mi rendo conto che dovrei essere più preciso nel formulare certe accuse, ma per la sicurezza del progetto, le chiedo il permesso di intervenire. Kassir ci nasconde qualcosa.»

L'ultimo olocaustoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora