28~ Progress: al massacro

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Colonna sonora: Get Up! - Korn ft. Skrillex

Youssef Tahimàd

Quella notte era un mostro che lo avvinghiava con i suoi viscidi tentacoli. Un mostro che gli toglieva il sonno, lo sbatacchiava tra pensieri cupi, lo avvelenava ricordandogli tutti gli imprevisti che si erano verificati e come avrebbero ancora potuto essergli d'intralcio alcuni di essi.

Amhid Kassir, dove diavolo ti sei cacciato?

Youssef Tahimàd se ne stava sul divano del soggiorno, seduto in punta di cuscino e senza appoggiarsi allo schienale. Rigido come un asse di legno, faceva scorrere le mani sulla sua vestaglia di cotone: si strofinava le braccia e si frizionava le cosce. Mentre veniva risucchiato da un vortice di preoccupazioni, la sua tazza di tè nero si stava freddando, dimenticata, sul tavolino che aveva di fronte.

La consapevolezza di essere ormai vicino alla conclusione dei giochi a tratti lo riportava a galla, ma i timori poi lo afferravano e lo trascinavano di nuovo a fondo.

Nel monitor a parete in fondo alla stanza scorrevano le immagini di un documentario girato in Arabia Saudita.

Lo stomaco gli si contorceva per le scene di miseria e abbandono che venivano mostrate.

Lo shifter, sul bracciolo più vicino, era un muto compagno.

Avrebbe dovuto squillare, invece. Avrebbe dovuto farlo da un pezzo.

Nel video, degli uomini rozzamente armati costringevano delle famiglie a uscire dalle loro abitazioni. Facevano razzia di cibo e di ogni cosa potesse avere il pur minimo valore. Spingevano a terra donne e bambini, massacravano chi non ubbidiva ai loro ordini, calpestavano i cadaveri.

All'improvviso, finalmente, la suoneria dello shifter  si fece sentire e sul display si accese il nome di Jaffar Aref.

«Era ora, Jaffar.» disse Youssef controllando il tono della voce per non tradire la sua ansia.

«Mi dispiace di averla fatta attendere, Signore» disse la voce dall'altro capo «però ce l'abbiamo fatta. Abbiamo lavorato senza sosta. Come ci ha ordinato, abbiamo impiegato fino all'ultimo dei Soggetti gestiti nella tenuta e adesso posso quantificare l'entità della fornitura prodotta: circa ottocento galloni».

«Finalmente, ora non c'è più pericolo che qualcuno possa andarsene in giro a parlare» disse Youssef lasciandosi cadere contro lo schienale del divano in un moto liberatorio.

«Possiamo procedere con lo smantellamento degli impianti adesso?»

«Non ancora, Jaffar. Devo prima assicurarmi che il carburante sia sufficiente. In caso di necessità ricorreremo a una produzione extra: prenderemo chiunque ci capiti a tiro, partendo dagli operatori biochippati impiegati nella centrale nucleare. Quando qualcuno si accorgerà della loro sparizione, noi saremo già al sicuro.»

Chiuse e lesse l'ora sul display: era l'una di notte. Calcolò che in Arabia fossero le otto del mattino e impiegò il comando vocale per inviare la chiamata successiva, quella tramite la quale avrebbe ricevuto le prossime risposte.

La voce di Shaddad proveniente dall'altra parte del mondo era un mare calmo, culla di un trionfo.

«Shaddad, come procede lì?»

«Molto bene, Signore. Abbiamo fatto ulteriori simulazioni e definito le coordinate di direzione, abbiamo ricontrollato ogni singolo cablaggio e saldatura. Posso confermare che è tutto pronto.»

«Ottimo lavoro, Shaddad. Anch'io ho buone notizie: abbiamo ottocento galloni. Pensi che siano sufficienti?»

«Sì, confermo. Non abbiamo ancora esaurito le partite precedenti. Abbiamo stimato che potrebbe persino essere sufficiente il carburante rimasto in magazzino ad alimentare i nostri generatori per l'evento. Ma la nuova fornitura e l'ausilio dell'energia prodotta dai nostri impianti fotovoltaici garantiscono la certezza dell'esito.»

L'ultimo olocaustoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora