E fu la vigilia di Natale

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Non ci sono con la testa. Casa mia è piena di persone che parlano in continuazione facendomi scoppiare il cervello, provo a stare lontana dalla gente, in posti isolati cosí da non dover dire troppe parole. L'unico luogo abbastanza silenzioso è la cucina abitato per le prossime ore da Alex che come al solito cucina con la sua grazia lanciandomi occhiate davvero poco carine ogni volta che ne ha l'occasione e non so se dire qualcosa, forse non dovrei.
Passo nuovamente il dito tra la farina che è caduta al biondo sul bancone disegnandoci sopra un cuore ed una stella per poi cancellarli, farla diventare nuovamente compatta per poi cominciare nuovamente da capo. Alzo nuovamente lo sguardo su Alex che mi sta fissando nuovamente, dovrei proprio dirgli qualcosa ma sono quasi certa che poi litigheremo e io non ho voglia di altre discussioni, sono proprio queste che lentamente mi stanno distruggendo ed oggi è un giorno di festa, questi sono i giorni che rimarranno per sempre impressi nella memoria e non voglio sia qualcosa di orribile.
Ero cosí felice. 
Oggi è il compleanno del mio bambino, dovrei essere felice, sorridere ma non ci riesco, se solo ci provo le parole di Nathan mi tornano in mente : «Lo hai già fatto, tradire.»
E non faccio altro che pensarci perchè è vero che mi sono arrabbiata ma è la realtà.
Io ho tradito mio marito poco prima che morisse e quando ho avuto la possibilità di farlo ho taciuto ogni cosa.
Morirò con tutti questi pensieri e di lacrime ne ho già versate abbastanza in questo periodo per quest'uomo che mi uccide e mi rende felice al medesimo tempo e non succeda ancora.
Tutta questa storia è veramente assurda.
Con un gesto della mano spazzo via la farina per poi sbuffare e tornare a guardare Alex che mi fissa, ancora
«Cosa c'è?» domando acida incastrando la lingua tra i denti, lui abbassa lo sguardo verso la ciotola alzando lo sguardo verso di me per un secondo «Sto parlando con te» lo rimbecco.
Smetto di fare quello che sta facendo aprendo la bocca pronto per rispondere «Amore» trilla Hailay, pazza nuovamente di suo marito, lasciandogli un bacio sulla guancia «Cosa state facendo?» domanda curiosa piegandosi sul bancone osservandomi con attenzione «Niente, stiamo in silenzio» storce un pò le labbra e anche il naso un paio di volte, mi sta esaminando. Dopo il messaggio che le ho mandato sono seguiti una corsa verso casa mia, una chiamata nel cuore della notte verso i tre pezzi mancanti e molti pianti cercando di capire se avevo ragione o torto. La conclusione è stata che dovevo dormirci un pò su e allo stesso modo non ho concluso nulla anzi qualcosa sono riuscita a metabolizzare: sono un adultera.
«E tu come stai?» domanda per l'ennesima volta in questa giornata irritandomi «Bene» rispondo abbassando lo sguardo verso la barretta ai cereali che avevo davanti prendendone un pezzo «Angie» inizia ma da uno sguardo al marito «Torno dalle altre e dai bambini» e scappa via.
«Hai zittito tua moglie con lo sguardo» dico mangiando anch'io la barretta dentendo come dei vetri lungo la gola, che sensazione  orribile «Abbiamo discusso molto su questa cosa»
«E tu invece vorresti dirmi cosa c'è che non va con me?»
«Nulla»
«Allora smettila di guardarmi a quel modo» mi lamento, lui alza le spalle «In realtà non posso» ammette «Per due semplici motivi. Il primo e perchè sei seduta davanti a me e il tuo sguardo mi da fastidio.» La cosa sta diventando davvero surreale, lui è nella mia cucina a preparare la cena della vigilia e la torta per il compleanno di Tommy e sembra voglia urlarmi contro e molto   probabilmente lo farà perché lui è fatto così, dice quello che pensa e la cosa non mi piace, ma voglio che sia sincero con me. Noi siamo amici adesso.
«E qual'è il secondo punto?» commento continuando a mangiare la barretta «Non capisco cosa succede tra te e Nathan» passo una mano tra i capelli cercando di trattenere lingua ma è davvero difficile «Non nominare il nome di quell'uomo in casa mia» si rabbuia abbassando lo sguardo verso il basso lasciandomi un'ultima occhiata «Io voi due non vi capirò mai»
«Mi dispiace Alex ma non devi essere tu a capirlo, non sono cose che ti riguardano» sbarra le palpebre sbattendo la spatola sul bancone facendomi trasalire «In realtà io so ogni cosa. Sono stato al telefono con lui dopo ogni crisi tra voi due e io so come si è sentito ogni singola volta»
«Alex hai fatto l'amico e adesso sai come sta  ma non sai come stavo io»
«In realtá lo so. Hailay non ha fatto altro che ripetermelo, non ha fatto altro che dirmi che il mio amico è uno stronzo ma dovremmo farci due domande. Di chi è la colpa?»
Lo zittisco alzando una mano, adesso ne ho abbastanza. Ho sentito troppe cose, parole senza senso che mi riempiono la testa. Non riesco più a stare in questa casa. È troppo anche per me.
Il mio livello di sopportazione è stato superato e anche da un bel pò di tempo.
«DI CHI È LA COLPA?» urlo attirando l'attenzione di praticamente tutti e allarmandoli «LA COLPA È FOTTUTAMENTE MIA CHE MI SONO FIDATA DI LUI PER L'ENNESIMA VOLTA.»
Tutto è caduto nel silenzio, l'agognato silenzio in questa casa. Bastava soltanto che urlassi per avere la mia privacy.
«Lexie» dico richiamando la bambina ferma con le mani in aria «Metti le scarpe, usciamo» mi osserva con uno sguardo spaventato sul volto, le sorrido cercando di mantenere la calma e non farla preoccupare «Dove andate?» domanda la bionda preoccupata avvicinandosi con il bambino tutto sistemato tra le braccia, glielo strappo letteralmente dalle braccia sorridendo anche a lui o almeno provandoci. Ha già gli occhi lucidi.
«Fuori da qui» rispondi cercando di farlo sorridere «Ma…» cerca di dire «Jasmine voglio solo andare via per qualche ora. Tornerò dopo» annuisce un paio di volte ed ecco arrivare la bambina con un sorriso sul volto «Mamma dove andiamo?»
«A fare un giro.»

Controllo per un ultima volta le cinghie del seggiolino del bambino osservando Lexie che si sta sistemando sul sedile accanto al fratello allacciandosi la cintura. Entro in auto al posto del guidatore mettendo in moto la macchina e facendo retromarcia per poi accendere la radio ed immergersi nel traffico di Los Angeles anche oggi molto intenso anche se è un giorno di festa.
«Mamma» mi richiama la bambina attirando la mia attenzione «Cosa tesoro?»
«Non stiamo andando via di nuovo vero?» la sua voce trema per un solo istante facendo tremare anche me «No tesoro. Non andremo da nessuna parte, volevo soltanto uscire con i miei bambini» annuisce poco convinta distogliendo lo sguardo dal mio «Questa è casa nostra» la osservo ancora una volta dallo specchietto retrovisore per poi osservare fuori dal finestrino e annuire «Lexie tu mi credi?» alza lo sguardo verso di me, è seria in volto ed ecco un senso di diniego con il capo «Per quale motivo?» domando scandalizzata evitando un auto per un soffio. Dovrei decisamente guardare la strada quando guido, è la prima regola di un buon guidatore «Mamma non voglio parlarne» si lamenta prendendo una mano del fratello tra le sue e sembra calmarsi.
Questo giorno va decisamente peggio ogni secondo di piú, avrei dovuto accettare l'invito di Aleksey e mi sarei risparmiata tutto questo casino o modo probabilmente no, loro sarebbero venuti lo stesso ed io in ogni caso avrei litigato con Alex, siamo sempre state due teste calde e questo ci portava sempre a litigare. Non lo facevamo davvero da un pò. È cosí bello parlare con lui, riesce a rilassarmi quando sono agitata ed oggi è stato decisamente il contrario.

«MAMMA ATTENTA!» urla Lexie facendomi risvegliare dal mio sogno ad occhi aperti ed un attimo dopo uno schianto mi arriva alle orecchie, il corpo viene sbalzato in avanti, lo scoppio dell'airbag e il capo che sbatte contro il volante facendomi venire mal di testa e annebbiare la vista. Batto un paio di volte le palpebre toccandomi la fronte trovandola sporca di sangue e le urla di Lexie e il pianto di Tommy arrivano ovattate alle mie orecchie «MAMMA! MAMMA!» alzo la testa a fatica respirando a fatica «Tesoro non posso girare la testa, tu e tuo fratello state bene?»
«Si. Mamma noi stiamo bene ma tu sanguini»
«Tranquilla tesoro» rispondo sentendo la mente annebbiarsi ogni secondo.
«Qualcuno chiami un ambulanza» sento urlare da lontano.
«Lexie stai insieme a tuo fratello e chiama tuo padre»
«MAMMA!» mi richiama la bambina ma sto per svenire anche se non voglio farlo, se sto lottando contro me stessa per restare vigile almeno fino a quando non arriveranno i soccorsi e saprò che loro stanno bene «Mamma» la voce della mia bambina e l'ultima cosa che sento prima di cadere in un sonno profondo.

«Donna 25 anni. Incidente d'auto. Profonda lacerazione sulla fronte. Quando siamo arrivati sul posto era priva di conoscenza» batto un paio di volte le palpebre venendo accecata dalla luce «Signora è in ospedale» afferma la donna dai capelli biondi tenuti in una cosa stretta passandomi una luce sugli occhi. Apro la bocca cercando di rispondere «I miei figli. Erano con me in auto» le parole escono fuori in un sibilo, sento dolore in ogni parte del corpo «Dove sono i miei figli?» domando ancora una volta sentendo il cuore martellarmi nelle orecchie ad un ritmo inaudito «Signora non lo so. Devo informarmi»
«I MIEI BAMBINI» urlo ancora balbettando osservando tutto diventare nero un'altra volta .
Non sarebbe successo nulla di tutto questo se non avessi incontrato Nathan o se lui non fosse tornato da noi rovinando tutto.
E se… E se…

L'amore non mi bastaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora