𝘳𝘪𝘱𝘰𝘴𝘢 𝘪𝘭 𝘤𝘶𝘰𝘳𝘦 𝘧𝘳𝘢 𝘭𝘦 𝘭𝘢𝘤𝘳𝘪𝘮𝘦 ; XVI

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Non sarei mai riuscito a tornare a casa senza l'appoggio di Namjoon

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Non sarei mai riuscito a tornare a casa senza l'appoggio di Namjoon.
Mi aveva sollevato da terra e confortato come un fratello in tutti i modi che conosceva. Ma tutto se n'era andato via con Taehyung.
Non riuscii a reagire alle parole stuzzicanti di Namjoon, né a ringraziarlo quando a casa si era preso cura di me e delle mie lacrime. Mi sentivo uno zero assoluto, sfiorito, una verità atroce per definizione, una briciola di essenza nell'infinitudine dell'universo. Tutto ciò che ero riuscito a fare era stato di munirmi degli ultimi brandelli di perseverazione di cui disponevo per inondare di chiamate il telefono di Taehyung.

Erano passate ore, forse troppe. Non ricordo neppure quante chiamate effettuai in quel lasso di tempo. Il suo telefono squillava a vuoto. A ogni dieci chiamate scoppiavo a piangere, cercavo di tranquillizzarmi, poi riprendevo a chiamare e così era passato un giorno.
Un messaggio spezzò i miei tentativi di rivestirmi avvertendomi che non c'era bisogno di venire quella sera a casa Kim: Taehyung e sua figlia avrebbero cenato fuori città. Il mio cuore saltò un battito: l'avevo sentito mancare per un secondo e poi diventare duro come la pietra. Un senso di devastante angoscia l'aveva attanagliato. Adesso mi sentivo sprofondare per davvero.
Nonostante Namjoon fosse uscito di casa, io rimasi per aspettare un possibile segno da parte di Kim Taehyung.
Il mio sguardo era fisso sul cellulare, la televisione faceva da sottofondo. Avrei dovuto tenere alta la concentrazione su quel film, ma il mio sguardo vagava tra il vuoto di quella stanza poco arredata e lo schermo nero del cellulare, e la mia mente navigava tra gli angoscianti e forti pensieri notturni. Fuori brillava una spettrale luna, alta e minacciosa su nel cielo, non più una protettrice ma un fantasma.
Mi sentivo così solo che mi strinsi in una coperta, e mi accovacciai sul divano. La nostalgia della rassicurante presenza di Taehyung si stava già facendo sentire.
Mi sentivo a tratti toccato impercettibilmente da qualcuno. Sussultavo. Desideravo trovarmi altrove, in un luogo più sicuro della mia mente. Mi ricordo di essermi addormentato tra le lacrime. Avevo tirato su col naso qualche volta, il mio cuore non riusciva a battere correttamente e alla fine mi ero arreso al sonno, nonostante la televisione echeggiasse ancora nel soggiorno.

Quella notte mi era mancato davvero tanto dormire con Taehyung. Quando fui sveglio le mie ossa erano indolenzite, i miei occhi pesanti, ed ero tutto infreddolito. Il risveglio fu insolitamente sereno: dovevo ancora ricordare cos'era successo, dovevo ancora metabolizzare di stare male un altro giorno per Taehyung. Ero stordito.
Mi vedevo riflesso allo specchio del bagno pallido come un cencio, gli occhi infossati e sfatto come mai lo ero stato di prima mattina. Non avevo alcuna voglia di vestirmi, di andare a scuola e reggere quello sbaglio che mi aveva macchiato di colpa. Avevo trasgredito alle mie stesse regole: mi ero promesso di non dare campo da minare ai miei stessi inquisitori. Eppure gliel'avevo concesso, gli avevo donato un campo ampio e fertile in cui nascondere le loro mine malefiche e ingannevoli. Mi sentivo torchiato da quegli occhi iniettati di reprimente spregiudicatezza, avvelenato dal sangue che scorreva attraverso i loro bulbi demoniaci. Mi ero dimenticato di come si respirava.
Mi sciacquai il viso e tornai a soffocare nell'atroce consapevolezza della lontananza.
Ciò che macchiò di acerbo cremisi la mia giornata fu una lettera nella cassetta delle poste. Con lo zaino in spalla l'avevo notata fuoriuscire dalla fessura, la presi e ne lessi il mittente: Kim Taehyung.
La scartai con apprensione, frettoloso e col cuore palpitante. I miei occhi lessero ansiosamente. Non riuscivo a credere a quello che stavo leggendo, dapprima mi apparve un incubo. Un terremoto nella testa, uno tsunami nel cuore e nelle iridi. Leggevo le parole e affogavo a ogni vuoto che le divideva: Taehyung mi aveva scritto che sarebbe partito per lavoro quella stessa mattina, e che avrebbe portato con sé Chaeyeong. Una comunicazione che non lasciava trapelare alcun tipo di sentimento, né una briciola del suo amore, se ce n'era ancora. Se era bastato il mio unico peccato a dissiparlo.
Tracciai con le dita quella stilizzata e precisa scrittura, poi strappai la lettera. La strappai in preda a un urlo. Namjoon venne presto da me, mi tolse i pezzetti di carta dalle mani, li lasciò cadere a terra e mi strinse a sé con vigore. Volevo continuare a strappare quella carta così perfettamente curata, bruciarla e dimenticarmi del profumo della sua colonia che percepivo al contatto con ognuna delle sue cose. Avrei voluto dire che non era troppo tardi, che potevo correre da lui e trattenerlo con me, che potevo ancora fare qualcosa per confermare il mio amore e farglielo percepire. Avrei voluto dire di amarlo, ma dentro di me lo odiavo. Lo odiavo intensamente, di un odio che non conosce tregua e forse neanche definizione.
No, non odiavo lui. Odiavo piuttosto quel suo gesto inaspettato e impulsivo, feroce nella sua freddezza, che mi avesse lasciato in quel modo senza la possibilità di fare null'altro se non piangere la sua assenza.
Tutto ciò che feci fu abbracciare vigorosamente Namjoon, come se farlo avesse potuto far scoppiare ogni dolore nello spazio.
Poi mi ci staccai. Così, senza preavviso, senza pensarci. Gli dissi nervosamente di andare via, di andare a scuola e di non badare a me, che sarei rimasto a casa da solo. Era meglio così: rimanere da solo, contemplare come sarebbe potuta andare avanti la mia vita. In quale modo. Perché adesso mi trovavo sperduto come un granchio nel deserto e dovevo trovare una nuova via, non potevo fermarmi lì. L'ira aveva motivato questa forza d'animo.
Passarono i giorni e io a volte ero arrabbiato, mi sfogavo sul cuscino con lacrime, o pugni, o urla, e altre volte giacevo in preda al dolore di un amore disilluso e ferito. Percorrevo le ferite del mio animo con le dita, attraverso le ossa rotta dall'ira funesta di uno spietato abbandono. Le mie lacrime erano una pioggia malinconica d'autunno, quando tutto appassisce, tutto sfiora. Tutto cade. Ci si rompe e ci si ricostruisce, o almeno, si aspetta una nuova stagione per rinascere e riprendere a vivere. Il mondo gioca così, eppure pensavo di essere sprofondato in un giro senza fine, fatto di sangue e incubi.

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