Il gusto dell'ignoto sa di fascino ; XXII

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In quel periodo dimagrii di qualche chilo per le mie pessime abitudini alimentari che aveva adottato la mia debolezza psicologica

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In quel periodo dimagrii di qualche chilo per le mie pessime abitudini alimentari che aveva adottato la mia debolezza psicologica. Mangiavo molto poco, e per questo non mancavano le volte in cui mi sentivo senza energie. Bastava uno sforzo in più per farmi sentire male.
Ma avevo cominciato da un po' a frequentare una biblioteca in zona, spinto da un forte desiderio di consolazione. Quello che provavo era strano per me: era come se la conoscenza del pensiero di uomini profondi, ciò che io cercavo, avrebbe potuto rappresentare un gancio per la purgazione del mio spirito. Allora la pensavo così. Mi sentivo, infatti, come se più nulla potesse trattenermi a questo mondo. I miei pensieri non erano sereni né ordinari, e l'attività del pensare occupava anche le ore più feconde della giornata. Mi interrogavo sulla vita, sul suo senso, sulla morte e sul suo significato; riflettevo sull'ordine delle cose, sull'inevitabile gerarchia sociale, sul buono e sul cattivo. A volte si compie qualcosa di ingiusto per raggiungere un buon fine e viceversa, dunque dove andava a finire l'ordine? Nel significato, mi rispondevo. Nel significato della portata di queste azioni e del loro obiettivo. Ma il mio pensiero non approdava a nulla di concreto e a questo punto non riuscivo a non biasimarmi per quella tragica scelta. La sensazione dell'acqua ghiacciata che si fondeva con il ghiaccio del mio cuore mi tornava alla mente ogni volta che mi fermavo a pensare. Era la prima cosa che riaffiorava. Quando succedeva mi stringevo con un tale vigore il polso che temevo non sarebbe più affluito il sangue alla mano, e mi dicevo "sei ancora vivo, respira e tieniti ancorato qui." E ogni volta era una lotta contro la paura della morte.
Mi ero sentito così tanto frastornato dall'irruenza di quella decisione,  che solo pochi giorni dopo, inevitabilmente, contro la mia stessa volontà e i miei principi, lo identificai con una definizione ben precisa: tentato suicidio. Con questo avevo davvero realizzato di aver sperimentato la sensazione prossima al trapasso. Era stata questa consapevolezza a risultare catartica, perché avendo provato quell'impercettibile distacco dalla realtà terrena, mi ero accorto di quanto davvero fosse importante vivere, finché è permesso.
In seguito a questa riflessione, alla mezzanotte di ogni sera non desideravo più la morte, bensì di ballare. La foce del fiume Han non mi avrebbe visto ancora per molto.
La mia stanza era diventata la madre dei miei desideri. Poetare, ballare erano cose che mi mancavano tantissimo. Se dovevano ricordarmi di Taehyung, allora così sarebbe stato, perché non volevo rinunciare neanche al più insignificante dei ricordi se si trattava di quelli costruiti con lui.
Tentato suicidio: la spinta che mi spronò a contattare la mia futura psicologa per un primo incontro. Mantenni questo segreto con tutti.

Mi aveva accolto con un sorriso molto affabile già dalla prima volta. Dapprima mi ero comportato in modo molto contenuto, quindi sorridevo appena, accennavo dei formali inchini quando ci salutavamo, tendevo a rispondere a monosillabi e molte volte a bassa voce. Insicurezza, forte timidezza, ma soprattutto un tipo di riservatezza che non riuscivo a valicare. Questo perché non sapevo se fidarmi o no, se concedere la mia gentilezza o se rimanere chiuso in me stesso, nonostante la sua cordialità fosse molto professionale e mi mettesse a mio agio varie volte. Non sembrava coreana perché i suoi occhi non erano proprio allungati come i miei, la sua pelle era più chiara della mia, nonostante i capelli lunghi fino alle spalle fossero corvini com'è comune dalle mie parti. La guardavo e constatavo che mi stava molto bene quella diversità. Ero incuriosito. Non era bella di una bellezza oggettiva, però secondo me era molto interessante e notavo un certo fascino distinto. Il suo sorriso, per esempio, era gentile ma non troppo espansivo, il suo sguardo era intelligente ma non malizioso, portava un leggero trucco e i capelli un po' mossi. Oltretutto vestiva molto formalmente, si sedeva compostamente e i suoi modi erano fini ma disinibiti. Faceva parte della sua professione, ma tutto di lei mi induceva alla fiducia, perché qualcosa in quei gesti e in quel modo di porsi mi inducevano a credere che fosse sincera, che fosse davvero così nonostante il dovere della professione. E ciò mi faceva anche paura, tant'era che mi comportavo rigidamente proprio per questo.
Un giorno glielo dissi pure che avevo paura di quanta fiducia mi infondesse e scoprii che la mia era una vera e propria pisantrofobia: mi tenevo distante dalle persone per paura di rimanerne ferito, ero chiuso come un riccio, tremavo ai visi nuovi e sconosciuti. Era dovuto alla mia sfortuna con le persone e alla mancanza di fiducia verso me stesso, e ora che Taehyung se n'era andato, spezzando per sempre la mia anima e oscurando ogni via di fuga...



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