«𝚞𝚗𝚊 𝚖𝚊𝚗𝚘 𝚍𝚒 𝚊𝚌𝚌𝚘𝚐𝚕𝚒𝚎𝚗𝚣𝚊»; XXVII

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I capelli grigi di Taehyung stavano per deperimento

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I capelli grigi di Taehyung stavano per deperimento. Me lo ero fatto spiegare quando ancora eravamo a Busan. Si era fatto portare un parrucchiere per fargli la decolorazione nella camera d'albergo a Shanghai, perché il colore caramello delle sue ciocche stonavano col suo stato d'animo e con la sua condizione psicofisica. Taehyung era affascinante come sempre mentre me lo raccontava, con quegli occhi grandi dal taglio affilato che guardavano il cielo sopra di noi. Non esisteva nulla di più bello per me.

- Mi piacciono, - gli ammisi. - Mi piacciono davvero. Ma se è questo il significato che si portano dietro... non credi che adesso possano tornare al loro castano chiaro?

Taehyung aveva sorriso guardando le stelle. Nient'altro.

"Vieni con me, " mi aveva detto più e più volte quella sera. Ovunque andassi doveva essere con lui, per questo mi teneva la mano a ogni passo.

- Vieni a dormire da me stasera. E' passato troppo tempo dall'ultima volta, - mi aveva detto infine in macchina. Era come se gli premesse da un po' dirmelo.
Non avevo dato una vera e propria risposta, ma ancora una volta ero caduto in tentazione e bastò un mio sguardo per farglielo capire. Un solo e unico sguardo languido, cedevole ed eloquente abbastanza da suscitargli un sorriso sincero.
A casa sua nessuno dei due aveva più parlato. Era calato un silenzio insolito. A volte mi sembrava di trovarmi ancora sulla spiaggia, che il rumore delle onde echeggiasse nelle mie orecchie in una melodia tranquillizzante e infinita. Non ero più entrato in quella casa dopo la falsa notizia riguardo alla morte di Taehyung, prima di perdere la testa. In quel momento credevo che quella casa mai più mi avrebbe fatto sentire protetto come quando lavoravo qui come babysitter, e poi come modello, che mai più mi avrebbe ricordato di essere amato. Tutto quello che riuscivo a provare, guardando Taeyung condurmi a sedere sul divano, era la voglia spregiudicata di piangere. Lui lo aveva capito dalle lacrime che si erano stagnate sul mio viso, per questo dopo un'amorevole carezza e un tenero bacio sulla fronte, si alzò dicendomi di aspettarlo, che sarebbe tornato con un té caldo. Lo seguii con lo sguardo finché non entrò in cucina.
A quel punto rimasi da solo con i miei pensieri. Una parte del salotto era buia, quella più vicina all'ingresso; invece la restante occupata dalla scrivania, dai quadri più grandi e belli e dal finestrone, era illuminata dalla debole luce del lume sopra la scrivania. Il mio sguardo saettava da una parte all'altra di quella stanza, il mio cuore aveva aumentato i battiti quando la mia mente si era andata a depositare nei ricordi di quando piangevo lì, su quella scrivania, una morte che non era mai esistita se non per vile sadismo di qualcuno colmo di odio.
Un senso di agitazione irruenta mi bruciò le ossa; scattai in piedi e raggiunsi Taehyung in cucina. Ma presi un sospiro di sollievo: lui era vivo davvero, come una volta.
Piano piano gli andai vicino, gli cinsi i fianchi e lo guardai aspettare che l'acqua bollisse. Quando si portò una mia mano sulle labbra per posarvi un bacio, liberai un sorriso. Non dicemmo niente, ma in quel momento, chissà perché, avevo capito che io e Taehyung eravamo rimasti l'uno dell'altro nonostante tutto.

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