«ɴé ᴠᴏɪ ɴé ʟᴏʀᴏ»; XI

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seconda fase



— "Non ce ne libereremo mai
L'Inquisizione è intorno a noi
è ancora viva e funesta
dimora nelle lingue delle genti
opera nelle grida di tutti voi
L'inquisizione è in noi
fardello dei cuori umani
tribunale della stigmatizzazione
occultatore di menti"

— "Non ce ne libereremo maiL'Inquisizione è intorno a noiè ancora viva e funesta dimora nelle lingue delle gentiopera nelle grida di tutti voi L'inquisizione è in noifardello dei cuori umanitribunale della stigmatizzazione occultatore di menti"

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Tornato a casa avevo raccontato tutto a Namjoon, mio confidente dall'antica infanzia. Era un vortice di incredulità e di gioia, la sua faccia, in cui mi ero talmente lasciato trasportare da non dormire per tutta la notte per parlare con lui. È strano da raccontare, per me lo era sempre stato, ma la notte scende sui nostri cuori non nel modo semplice in cui crediamo: nell'ora della luna le maschere cadono, i cuori perdono i veli e la mente si spoglia della sua razionalità; dunque andai oltre il mio sconfinato senso del pudore e raccontai tutto, fino ai dettagli. Namjoon mi ascoltava e alimentava la mia vivacità, non risultava disgustato né infastidito o disinteressato, e ciò ovviamente mi spingeva a continuare.
Le stelle brillavano nel cielo nonostante i fumi industriali, perché casa mia aveva la fortuna di godere di una posizione tale da scorgere i particolari naturali di Seoul.
Io e Namjoon eravamo rimasti svegli fuori dal balcone, a lasciarci cullare da una brezza di una primavera gocciolante.

Percepivo il giorno degli esami sempre più vicino, nonostante mancasse ancora molto. In quel periodo, dopo la breve ma intensa vacanza con Taehyung. Ero riuscito a studiare più serenamente. Nonostante a volte la mia concentrazione si perdesse in frivoli pensieri romantici, ero soddisfatto di riuscire a proseguire gli studi con maggiore serenità. D'altronde meglio perdersi in pensieri da cui ne derivano le dilettevoli farfalle allo stomaco, piuttosto che le gogne dell'angoscia. Ma la pace ha sempre una fine.
Ciononostante il mio rapporto con Taehyung andava facendosi sempre più forte. Avevo conosciuto parti del suo carattere, del suo animo, totalmente segrete e incomprensibili al mondo esterno, come la sua fragile sensibilità. Taehyung era un delicato fiore di primavera; nelle mie successive poesie lo avevo descritto e raffigurato come un fiore di hagi che avrebbe rallegrato la nobile corte della città antica. Un fiore speciale e da curare. La scorza dura e ferrosa del suo carattere era in realtà un animo invecchiato dai trascorsi. Non era durezza, ma una sensibilità piegata dallo scorrere degli eventi. A volte pensavo addirittura di essere io il più forte tra i due, ma questo pensiero era chiaramente errato.
Mi era capitato più volte di prendermi cura di lui, anche mentre badavo a sua figlia; si ammalava facilmente di febbre. A volte vomitava, diceva di avere spesso fitte improvvise allo stomaco. Avevo avuto paura che potessero essere causate dal consumo giornaliero di whiskey, ma lui lo negava e mi diceva che era così da un bel po' di tempo.
Ero comunque costantemente preoccupato per lui. Sentiva sempre freddo, anche nelle giornate più calde della primavera; fra poco sarebbe persino giunta l'estate. Mi chiedevo se fosse normale dormire con le coperte di pile la notte, alle porte della stagione estiva.
Qualche notte mi domandava di rimanere con lui utilizzando la scusa di avere bisogno del calore del mio corpo. La sua espressione mi intimava che quello era solo un pretesto, voleva evitare di suscitare il mio imbarazzo. Aveva capito com'ero già da tempo. Non credevo di poter essere così leggibile ai suoi occhi... Mi pareva già un uomo di mondo, caro lettore.
Amare e bene velle: lo amavo e stimavo allo stesso tempo, e volevo tutto da lui.
Passato del tempo accantonò quella scusa per dirmi chiaramente di rimanere, perché lo voleva. Ne aveva bisogno. Mi aveva detto che cullavo il suo sonno, che scacciavo gli incubi e impedivo alle lacrime di scendere sul suo viso. Caro lettore, quello era il pretesto che più mi faceva battere il cuore, come un cavallo che galoppa per la sua terra promessa. La mia sembrava essere in quella casa.
Lui era bello e tormentato. Il suo unico difetto era di prendersela con se stesso anche per le sottigliezze. Era orgoglioso e utilizzava quest'orgoglio come uno scudo, ma nel suo intimo, quando nessuno lo vedeva né poteva giudicarlo, piangeva. A volte entravo a casa sua - la sua fiducia aveva raggiunto livelli tali da farmi dono delle chiavi di casa sua - e lo trovavo col viso immerso dalle lacrime, mille cicche spente brutalmente nel posacenere. Non c'erano parole da utilizzare, tutto ciò che potevo fare era fargli sentire il calore della mia presenza, cercare di raggiungere il suo cuore quanto più possibile. In quei momenti andarsene la sera gli riusciva più faticoso. Io cercavo di rassicurarlo, gli baciavo le lacrime e gli sussurravo che l'avrei aspettato anche tutta la notte se fosse stato necessario.
Avevo paura che Chaeyeong potesse vederci. Giuro, caro lettore, mio confidente, temevo potessero sorgere problemi di quel tipo lì causando complicazioni insormontabili. Chaeyeong era sua figlia e io le volevo bene ormai più di me stesso, ma mi sentivo viscido e sporco perché stavo con suo padre nelle vesti di un ragazzo, e dentro la loro casa avvenivano cose occulte che non poteva conoscere. Mi sentivo in colpa, ma Taehyung non si pronunciava mai circa questo argomento e io, egoisticamente, non lo accennavo mai. L'omertà mi imbavagliava.

❝Il destino gioca d'azzardo❞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora