«𝙵𝚛𝚎𝚍𝚍𝚊 𝚝𝚎𝚛𝚛𝚊, 𝚏𝚘𝚕𝚕𝚎 𝚚𝚞𝚊𝚍𝚛𝚘 𝚍𝚒 𝚅𝚊𝚗 𝙶𝚘𝚐𝚑» ; XΧVIII

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"Fredda terra, folle quadro di Van Gogh
Arida terra e pulsante delle sue radici
Apollo,
Nemmeno il tuo sole squarcia questa landa
E Poseidone che si ascolta
Lontano, spaventoso.
Ma la melodia,
Ah, la melodia del cuore,
Questo Apollo parla lo stesso
E grida che c'è vita!
Vita in me, vita in noi;
Anche l'inverno spende
La neve si scioglie al suo sole,
Brilla d nuova speranza,
Di gocce di cui mi disseterò.
Non c'è esistenza migliore
Di chi alza lo sguardo al cielo
E nega i peccati della terra"





Faceva molto freddo proprio come a Seoul, e il cielo era coperto da nuvoloni dietro i quali il sole tentava la libertà a colpi di raggi

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Faceva molto freddo proprio come a Seoul, e il cielo era coperto da nuvoloni dietro i quali il sole tentava la libertà a colpi di raggi. Tutt'attorno era brughiera; sprazzi di neve e rocce ovunque. In lontananza il mare, ingrigito e scosso dalla rigidità del tempo di quel giorno, si esibiva in cavalloni di spuma contro il promontorio davanti a noi. Era un gioco fatale che gli costava la vita, una lotta continua che avrebbe lasciato esausti e sconfitti la roccia così come il mare.
L'aria era umida, c'era solo odore di mare e tutto era desolazione, ma quel posto, per quanto sembrasse dimenticato dal mondo, era ricco di beatitudine. Mi sembrava di trovarmi in un quadro dalla luce soffusa e dal contesto idilliaco. Questo mi si presentava attorno; alla mia destra, invece, quello che era un maniero dall'aspetto modesto a ridosso del promontorio, un po' più distante.
Taehyung mi ci condusse tenendomi saldamente per mano, quasi avesse paura di perdermi. O forse non voleva che lo lasciassi, che potessi spaventarmi per chissà quale orrore.
Percorrendo un sentiero alquanto modesto fino a quando non arrivammo in prossimità della costruzione, che era circondata a mo' di protezione da uno spesso muro in roccia. Ci fermammo davanti a un cancello alto e decorato; allora Taehyung prese dalla tasca del suo montone un mazzo di chiavi, e lo aprì. Il cancello fece un rumore piuttosto acuto. Qualche passo più avanti, tra il cancello e il maniero, vidi una fontana in marmo inattiva ai bordi si era depositata della neve, e dal cui centro si innalzava la statua di una bella donna dalle curve sinuose e i capelli lunghi e folti, avvinghiata attorno un arbusto. Con la mano destra la donna indicava il cielo, e i suoi occhi erano ridenti.
Poco prima di entrare, sentimmo una macchina posteggiare vicino al cancello, accanto alla nostra, e dunque ci girammo. Era una macchina sportiva da capogiro, laccata di nero, da cui scese una ragazza vestita di abiti scuri che urlavano tendenza e un paio di occhiali da sole firmati che, data la poca luce di quel giorno invernale, si alzò sul capo. Dopo aver aperto il cancello, venne verso di noi a passo sicuro e con un sorriso smagliante. Per tutto il tempo Taehyung l'aveva osservata con indifferenza, ma non appena gli fu vicino la ragazza gli acchiappò le spalle e, con due grandi occhi vispi, esclamò:

- Taehyungie! Dopo tutto questo tempo non sei felice di vedermi, forse?

Così gli strappò un sorriso. Ma poi lei incatenò il suo sguardo nel mio, tanto più remissivo di lei che si era dimostrata così disinibita, e ne rimasi profondamente colpito. Mi sembrava di stare vedendo la copia al femminile di Taehyung, ma con i capelli lunghi fino alle spalle, di un nero da far invidia ai corvi più spaventosi. Sembrava inverosimile la loro somiglianza: avevano gli stessi zigomi pronunciati, le stesse labbra carnose, lo stesso sorriso squadrato, la stessa mandibola levigata, persino lo stesso naso. Nella ragazza, però, era inconfondibile la femminilità che colpiva in pieno a partire dal primo impatto. Gli occhi — non so bene il perché — mi mandarono nel pallone la prima volta: lo stesso taglio, la stessa profondità vertiginosa. Ne ebbi quasi paura. Era impressionante l'impatto visivo con Kim Taehyung, e vedere la sua copia al femminile mi dava l'impressione di essere stato catapultato in un mondo del tutto diverso dal nostro. Erano belli da fare invidia agli angeli.
D'istinto mi nascosi proprio dietro la schiena di Taehyung. Mi sembrava di essere stato trapassato da un fantasma. Da un po' di tempo dalla sua scomparsa avevo sviluppato una sorta di meccanismo di autodifesa per cui, a ogni viso nuovo, indugiavo e mi sottraevo. Avevo sempre avuto la predisposizione a evitare i volti sconosciuti, ma questa era una nuova sensazione. Era una condizione che mi faceva sentire male con me stesso, ma inevitabile e automatica. Avevo lottato con il mio autocontrollo, contro la mia psiche più e più volte per mettere a tacere quel mostro dentro di me, ma era stato tutto inutile: non più la timidezza né l'introversione, ma la paura — il terrore era forte, mi corrodeva da dentro e non mi lasciava respirare. Mi racchiudeva in una coltre di denso buio dentro cui non riuscivo a vedere nulla; le conseguenze erano muti attacchi di panico, momenti di crisi interiore. Mi sentivo in una gabbia rovente e non lo ero affatto.
Quando la mano di Taehyung mi raggiunse per accarezzarmi la schiena, lui si spostò in modo che io potessi fronteggiarla di nuovo. Mi ero ancora una volta sentito nudo — odiavo quella sensazione — ma non avevo modo di scappare, perché la ragazza mi prese una mano fra le sue e mi sorrise melliflua.

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