«ᴛᴇʀʀᴀ ᴅᴇʟ ᴍɪᴏ ᴄᴜᴏʀᴇ» ; XXVI

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Non accettai immediatamente la sua risposta, anzi ci volle qualche giorno prima che riuscisse a convincermi

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Non accettai immediatamente la sua risposta, anzi ci volle qualche giorno prima che riuscisse a convincermi. Furono giorni in cui ripresi a mangiare un po' più di prima sotto le sue costanti e apprensive attenzioni: mi preparava ogni giorno il pranzo e la cena, aiutava Sadhana a cucinare i piatti piccanti che tanto mi piacevano, e mi induceva a mangiare così insistentemente che alla fine non potevo fare altro che cedere. Le sue preoccupazioni, piano piano, infusero l'antico calore perduto al mio corpo e progressivamente consumai i pasti sempre più vogliosamente. Furono giorni in cui, tra l'altro, notavo in molti momenti una certa affinità tra Taehyung e Sadhana. Mi suscitava una forte curiosità quell'ambiguo rapporto. A volte, quando capitava che i loro sguardi si incrociassero, avvertivo la strana sensazione che l'intensità che sempre aveva caratterizzato gli occhi di Taehyung, in qualche modo appartenesse anche a quelli di Sadhana, nonostante non capissi né in che modo, appunto, né quanto fosse davvero reale quella percezione. L'affinità che intercorreva tra loro era infatti caratteriale, metafisica, qualcosa al di sopra delle umani percezioni materialistiche. Ciò mi indusse molto a riflettere: i loro occhi non sembravano avere nulla di terreno, a volte. Per giunta sembravano capirsi al volo ogni volta che aprivano bocca per parlare.
Furono anche giorni in cui evitai ogni possibile contatto con Taehyung, che fosse verbale o fisico. A volte risultava pressoché impossibile ed estremamente doloroso; capitava spesso di ritrovarci in una stanza da soli, che fosse il bagno, la cucina, la mia camera. Le modeste dimensioni di quell'abitazione che condividevo con Namjoon non mi permettevano di rifugiarmi da nessuna parte, e tutte le volte lo sguardo di Taehyung sul mio viso era penetrante a tal punto che non riuscivo a guardarlo. A volte rimaneva a osservare me o le mie azioni per molto tempo mentre svolgevo la più piccola delle attività, come trascrivere una poesia che avevo elaborato nella mia mente, leggere un libro, meditare, lavarmi le mani. Il suo sguardo si insinuava nei pori della mia pelle, attraversava tutto il mio animo, raggiungeva il mio cuore, lo sfiorava, e quando sentivo che stava accadendo mi facevo rigido, mi rifiutavo di rimanere ad ascoltare la sua presenza chiassosa e silenziosa insieme, e mi allontanavo. Non sopportavo di sentire di nuovo quel calore così dolce scuotermi il cuore, perché non risultava credibile ai miei sensi. E quando credevo di essergli sfuggito, la sua mano sfiorava delicatamente le mie dita, mi afferrava quello stesso cuore che un momento prima mi aveva sfiorato con lo sguardo, lo scuoteva nel profondo e mi toglieva ogni possibilità di ragionamento. Questa era la sua tattica: farmi abituare nuovamente alla sua presenza piena di candore nella mia vita.
Come un fantasma si insinuava tra le mie coperte ogni notte; non mi abbracciava, però mi accarezzava delicato i capelli e le guance come se avesse paura di frantumarmi. Io facevo finta di dormire, ma il sangue cominciava a circolare più confusamente in quei momenti fino a farmi diventare rosso di desiderio, e la mia anima mi ravvivava di pulsazioni per ricordarmi che era davvero destinata a quelle mani. Nonostante provassi a rifiutare le sue carezze, lui continuava imperterrito a scottarmi con la sua delicatezza. Pulsavo come un cuore vivo e bisognoso di ossigeno. Solo in quei momenti, la notte, quando la mente si spegne e l'istinto si accende, alla fine mi giravo da lui e mi abbandonavo alle sue mani. E lui, rispettoso e amorevole, mi stringeva con dolcezza a sé e con le sue mani modellava il mio cuore. Aveva ripreso a farlo dal momento stesso in cui era tornato; questa consapevolezza mi riduceva a qualcosa di piccolo e fragile, ma dalla smisurata grandezza. Questo io pensavo. Se fosse autocommiserazione non sapevo proprio dirlo, ma ero innamorato e perduto, e dunque ritenni naturale questa condizione. Tutto seguiva il naturale procedere dei sentimenti.
Gli incubi sparirono. La rosa bianca dei miei sogni non deperiva più, ma rimaneva robusta e profumata, mentre quella vera riposava in un vaso sulla mia scrivania. Ripresi persino a scrivere poesie. Benché pensassi che non fossero belle come quelle che scrivevo prima della scomparsa di Taehyung, continuai a riprendere il ritmo costante dei miei pensieri, modularlo in parole, e trascriverlo su carta. Quello che usciva, quei caratteri dall'inchiostro nero, riuscivano a tranquillizzare il mio animo e ad appagarlo come un tempo. Ogni tanto Taehyung mi posava un fuggente bacio sulla nuca che echeggiava per la mia chioma, e poi spariva per lasciarmi scrivere. E poi ogni cosa si ripeteva: Taehyung che mi aspettava in soggiorno con una sigaretta tra le labbra o con un libro in mano, che quando mi vedeva si alzava e cominciava a prepararmi il pasto; lui che mi invogliava a mangiare, io che mangiavo, poi andavo a lavorare, tornavo, e lui tentava di farmi aprire a lui. Restio com'ero, una sera mi bloccò per un polso e mi strinse in un forte e impulsivo abbraccio, trattenendomi con sé in cucina.

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