«(...) ᴅɪ ᴄᴀʀᴀᴍᴇʟʟᴏ ᴄᴀʟᴅᴏ ᴇ ᴅᴏʟᴄᴇ» ; II

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Passò qualche giorno da quell'insolito incontro

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Passò qualche giorno da quell'insolito incontro. Jungkook non sapeva cosa farsene di quel ricordo: inizialmente aveva riflettuto molto su come si fosse sentito - spiazzato?, fulminato?, intimorito?, intimidito?, - e circa due giorni dopo aveva già spento ogni interrogativo nella sua mente. Aveva analizzato molto accuratamente l'accaduto per una manciata di ore — Jungkook lo faceva sempre quando gli capitava qualcosa di curioso che spezzava la monotonia delle sue giornate — e si ritrovava sempre a desiderare dell'altro. Questo "altro" non aveva niente a che fare col misterioso sconosciuto, perché Jungkook nel suo cuore temeva che non l'avrebbe più rivisto; eppure c'era qualcosa, un particolare e innato incentivo simile a un senso di speranza che lo spingeva ad alzarsi dal letto più motivato del giorno seguente.
Tuttavia quando calava la sera e a conti fatti nulla di nuovo ed eccitante era accaduto durante il mattino o il pomeriggio, Jungkook si ritrovava a dover fare a pugni con tutti i suoi pensieri più eccessivi e ingombranti. Mentre cenavano con una confezione di noodles, Namjoon, che era anche il più logorroico tra i due, imbottiva la mente di Jungkook di tutte le nozioni più interessanti che aveva appreso a scuola quel giorno. La storia, per lui, era sempre il punto chiave di ogni accadimento nel mondo, una maestra di vita, una saggia consigliera che l'essere umano non prende mai in considerazione perché troppo occupato a costruirne una nuova; e più sbagli si compiono più è facile entrare nella storia — questo credeva Namjoon. Jungkook, però, non riusciva ad ascoltarlo se non molto distrattamente. Girava e rigirava distrattamente le bacchette nei noodles, come se mangiarli non fosse l'obiettivo ultimo dei suoi movimenti. Namjoon ruppe al più presto il fiume dei suoi discorsi e cercò di attirare l'attenzione dell'amico con un "ci sei?" scherzoso e noioso, a cui Jungkook rispose con un cenno distratto del capo.

- Successo qualcosa?

- No, hyung. Continua pure, adesso ti ascolto.

Ma Namjoon non parlò più per il resto della serata: quando Jungkook si alienava, voleva dire che la sua fragilità non andava toccata. Dunque, dopo qualche secondo a osservarlo circospetto, ritornò in silenzio sul proprio pasto.

Il locale era molto affollato il pomeriggio successivo: tantissimi studenti si ritrovavano lì per svago, oppure perché dopo l'ora di pranzo, non sapendo dove mangiare, decidevano di andare al locale più vicino alla loro scuola per consumare un boccone o una bibita tra amici o compagni. Con una tazza di infuso alla vaniglia e il libro di letteratura coreana Jungkook se ne stava seduto vicino al bancone aspettando di svolgere qualche mansione. Ormai tutti i clienti avevano preso le loro ordinazioni e lui aveva già pulito il bancone più volte. I colleghi pensavano a controllare i tavoli e per questo, nonostante il chiasso, poteva concentrarsi sullo studio. Si era assuefatto a quell'atmosfera quotidiana già da qualche anno. Quel giorno aveva riscontrato in quell'infuso una possibile via di fuga.

- Jungkook, sostituiscimi un attimo al bancone per favore, - gli aveva chiesto Jimin.

Jungkook aveva vagamente accolto la richiesta del collega e dunque si alzò per sostare dietro al bancone, pur con il libro accanto. Non essendoci nulla da fare, si munì di pezza e cominciò a pulire la superficie in marmo.
Era un locale piccolo ma tranquillo e piacevole, soprattutto alle prime luci della sera, quando il sole tramontava e i suoi ultimi raggi aranciati penetravano dentro attraverso i vetri delle finestre e della porta, offrendo ai clienti una vista romantica del fiume Han. Jungkook, anni fa, aveva tenuto molto a ottenere quel posto per quanto fosse umile, proprio per la tranquillità e l'atmosfera che lo caratterizzavano. Era un lavoro che gli serviva per pagarsi gli studi e l'affitto. Per quanto scomodo a volte potesse risultare a causa degli orari che non facilmente conciliavano con la scuola, Jungkook non aveva voluto rinunciarci. Le sue giornate erano piuttosto frenetiche: usciva da scuola alle quattro del pomeriggio e subito doveva correre per il lavoro, a volte senza avere l'opportunità di tornare a casa per cambiarsi. Entrava nel locale con la cartella in mano e si metteva subito in un angolino a studiare, a volte svolgeva qualche mansione e prendeva le ordinazioni. Jungkook era un ragazzo a cui andava bene la frenesia nonostante la pacatezza del suo carattere, dunque quegli orari non gli pesavano mai troppo. Ma da un po' di tempo a quella parte Jungkook aveva sentito di dover rallentarne i ritmi. Spesso pensava alla sua famiglia, a quanto meglio sarebbe stato se l'avesse aiutato almeno a pagarsi una parte dell'affitto così da poter avere più tempo per studiare in pace, ma ripensando alla rigidità di suo padre e all'offesa recata alla madre con la sua scelta di trasferirsi a Seoul, Jungkook preferiva vivere una vita anche mille volte più difficile pur di non chiedere aiuto a loro.
Le ore passarono in fretta e mancava poco alla chiusura. Jungkook passava vigorosamente la pezza sul bancone ed era assorto talmente tanto dai suoi pensieri, tra paranoie e nozioni di studio, che non sentì il campanellino della porta che si apriva, nonostante il locale fosse quasi vuoto ormai e la confusione dissolta nell'aria. Neanche quando qualcuno si sedette davanti a lui riuscì ad accorgersene e riuscì a distogliere la sua attenzione dalla superficie marmorea che stava pulendo. Soltanto la voce squillante di una bambina parve destarlo dallo stato di trance da cui riemerse rivolgendo lo sguardo ai due clienti.

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