Il diavolo rampante ; XXIII

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Scacco matto!, urlò il destino

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Scacco matto!, urlò il destino. Era festa trionfante: i calici erano alzati, il vino spumeggiava, le risate erano grasse, e io, la vittima, ero completamente diventato un soggetto da deridere. Che mezza calzetta!, continuava a dire, e io potevo sentirlo forte e chiaro nelle mie orecchie. Tutt'attorno era confuso, i dadi si confondevano ai miei occhi. Che fossi ubriaco? Le mie mani tremavano, e nella scacchiera era palese il mio fallimento. Ma c'era qualcosa, nell'aria, di divertente e ironico. E così cominciai a ridere anch'io di me stesso. Che stupido!, mi dicevo. Come avevo fatto a non pensarci? Sono proprio un idiota, continuavo, e intanto mi burlavo di me stesso col signor destino. Anche gli scacchi sembravano essere scossi dalle risate trasudanti dalle loro boccucce dai dentini affilati. Che pazzia, mi dicevo, e mi tenevo la testa tra le mani. In giro c'era una danza di colori rossi e neri, e tutto sapeva di sarcasmo. Non mi rovesciavo a terra solo per curiosità di assaggiare quello stesso scherzo di cui ero vittima.

Così alle due e mezza di quella notte qualcuno di irrequieto bussò alla nostra porta. Namjoon era chiuso in camera e nel torpore del sonno non avrebbe sentito nulla, mentre la mia camera era aperta, e io col sonno leggero. Dunque mi appropinquai intorpidito e sonnolento, mi stropicciavo un occhio e camminavo barcollante. Chiesi chi ci fosse dietro alla porta, ma nessuno rispose. Alla seconda volta qualcuno mi sussurrò il mio nome, dunque controllai dalla tapparella. Il mio cuore batteva all'impazzata e mi diceva di non aprire assolutamente, mai mai mai, ma la mia mano si mosse rapida alla maniglia e l'abbassò per aprire la porta. Così la aprii sul serio. Davanti a me si stagliava una figura incappucciata con un felpone nero, un paio di pantaloni neri, larghi e talmente lunghi da coprire le scarpe a metà. Sembrava ansimante, ma la sua figura non dava alcun segno di affaticamento.
Chi era?, ti starai chiedendo. Ebbene, immobilizzato dalla paura, rimasi per un po' davanti a quella figura senza sapere cosa fare. Il mio respiro era accelerato, i miei occhi sicuramente sbarrati, i muscoli atrofizzati. Avrebbe potuto cominciare la fine del mondo e non mi avrebbe scalfito.
Poi qualcosa da dentro mi mosse in avanti. Feci piccoli, minuscoli e lenti passi fino a questa figura, così portai le mani al suo viso, e lentamente, con un mucchio di paura, gli abbassai il cappuccio.
A quel punto sentii un tuono rimbombare vicino a casa mia, e tutt'attorno si fece bianco di luce. Non ricordo se quell'atmosfera l'avessi percepita io per suggestione o se fosse effettivamente presente, ma di lì a poco cominciò a piovere forte, e mentre i miei occhi toccavano tutto il suo viso come se non ci potessero credere, grosse gocce di pioggia contaminarono i suoi capelli ingrigiti inumidendoli prima e bagnandoli dopo fino ad afflosciarli, nel mentre che facevano tremare le finestre e la luce dei lampioni sul marciapiede di fronte. Il cielo rimbombava furioso e il vento ululava per le strade scompigliando le chiome degli alberi. Sembrava come se la natura si fosse sentita presa in giro, e ora inferocita scagliava la sua maledizione su noi due che ci incontravamo dopo tanto tempo, quasi fossimo stati noi ad architettare quell'inganno. Ma quello ingannato mi sentivo io, e una grande sensazione di panico mi assalì. In realtà quello poteva essere panico dentro uno stomachevole intruglio di angoscia, inquietudine e rabbia.
Mi fermai sul posto. Prima di tutto non poteva essere ciò che pensavo io, date le circostanze. Allora è il suo spirito, pensai. Ma uno spirito non è antropomorfo. Non siamo mica in un poema di Omero. Cosa sei? Zeus? Quindi indietreggiai di due passi, mentre i suoi occhi erano fermi sui miei. Sembrava volermi possedere. Allora è un sogno, pensai. Ma il rumore possente dei tuoni era troppo vivido, la luce troppo fulgida, e lui in carne e ossa. Dunque qualcuno si starà prendendo gioco di me. Sì, non poteva che essere così. Poi lui allungò una mano verso di me, mormorando il mio nome. Allora conosceva il mio nome. La sua voce si confuse con quella dei tuoni.

❝Il destino gioca d'azzardo❞Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora