Capitolo 5 - 2

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In fondo alla strada dove si trovava il numero 12 di Grimmauld Place, c'era un piccolo parco. Quando i genitori di Sirius abitavano lì era molto curato, ma ora era in stato di abbandono, con le panchine coperte di graffiti e i cestini della spazzatura divelti e capovolti nelle aiuole incolte.

Felpato annusò l'aria attorno a sé. Era bello essere fuori. L'avrebbe pagata. Quell'uscita fuori programma gli sarebbe costata una bella strigliata da Remus e una buona dose di occhiatacce da Lily, ma ne valeva la pena. Non ne poteva più di restare chiuso lì dentro. L'attesa e l'incertezza lo stavano uccidendo.

Rimase nel parco il tempo necessario ad accertarsi che nessuno a Grimmauld Place avesse notato la sua assenza e uscisse di corsa per cercarlo. I Weasley erano tornati, Lily e James erano impegnati nelle pulizie con Molly, e Remus era uscito. Tutti credevano che fosse chiuso nella stanza di sua madre a nutrire Fierobecco. Aveva un'ora, forse un'ora e mezza, prima che andassero a cercarlo. Aveva intenzione di godersela.

Fiutò ancora l'aria attorno, poi partì di corsa guidato dall'istinto. Londra non aveva mai avuto un profumo così buono e, a parte qualche occhiataccia dai passanti infastiditi da un randagio, nessuno prestava attenzione a lui. Vagò per le strade, cercando di tenersi su percorsi secondari e poco frequentati. Era così tanto che non gli capitava di stare un po' all'aperto che sembrava tutto nuovo e bellissimo, perfino l'asfalto o i palazzi ingrigiti dallo smog.

Esaurito il primo impeto di energia, rallentò il passo e si guardò intorno. Le zampe l'avevano portato in una zona della città che conosceva bene. Un tempo abitava da quelle parti, un quartiere non proprio ben frequentato ma l'unico in cui avesse trovato un posto alla sua portata. Quando suo zio Alphard gli aveva lasciato il denaro in eredità, ne aveva usato una parte per prendere in affitto un appartamento e affrancarsi finalmente dalla residenza di famiglia.

Felpato sedette sul marciapiede e guardò in su verso il palazzo dall'altra parte della strada. La grande finestra all'ultimo piano una volta era casa sua. Non era stato sempre un appartamento. Prima era un ufficio, poi lo studio di un artista. C'era un unico spazio, dominato dalla finestra, che fungeva da cucina e da salotto, la camera da letto e il bagno. Sufficiente per una persona senza troppe pretese e con un budget limitato.

Gli mancava quel posto. Chissà chi ci abitava adesso, che cosa era diventato, e che ne era stato della roba che ci aveva lasciato dentro. Spinto da una curiosità morbosa, attraversò la strada. Si sollevò sulle zampe posteriori e appoggiò quelle anteriori alla parete per leggere il nome sul citofono.

Com'era possibile?

La targhetta accanto al pulsante più in alto sulla sinistra non era cambiata. C'era ancora scritto 'S. Black'. Forse non significava niente, magari l'appartamento era rimasto vuoto e nessuno si era preso la briga di cancellare il nome. Ma la curiosità era troppo forte.

Felpato si guardò alle spalle, annusò un po' l'asfalto, poi svolto nel vicolo sulla destra fino ad arrivare alla porticina che conduceva nel cortile sul retro. Sembrava che niente fosse cambiato. Il chiavistello era ancora rotto e la porta era tenuta ferma solo da un mattone posato per terra. Dal cortile si entrava dentro il palazzo attraverso una porta metallica, che durante il giorno restava aperta.

Era una scemenza. Non sarebbe dovuto essere lì, tanto meno accarezzare l'idea di entrare. Era davvero una cosa stupida da fare. Eppure, quella piccola trasgressione gli faceva sentire di nuovo il brivido dell'avventura.

Spinse la porta aiutandosi con le zampe e la testa, si intrufolò in cortile e, dopo essersi accertato che non ci fosse nessuno, zampettò fino alla porta e sgattaiolò dentro. Sbucando da dietro le scale, Felpato controllò che l'ingresso fosse vuoto, poi imboccò le scale e le fece di corsa fino all'ultimo piano. Arrivò senza fiato. Era fuori allenamento.

Anche il nome accanto al campanello interno non era cambiato. C'era ancora la targhetta che aveva scarabocchiato in fretta su un pezzo di pergamena e appiccicato lì tanti anni prima.

Riprese le sue sembianze umane. Quella era davvero un'idiozia, ma per aprire la porta gli serviva la bacchetta. Il suo vecchio appartamento era il solo all'ultimo piano e il pianerottolo era deserto. Sirius estrasse dalla tasca la bacchetta e, gettandosi un'ultima occhiata alle spalle, colpì la serratura.

Quando oltrepassò la porta e se la chiuse alle spalle, il suo cuore minacciò di fermarsi. Tutto era rimasto lo stesso, coperto da uno spesso strato di polvere, ma inalterato. L'appendiabiti con il suo mantello scuro a destra della porta, il divano di pelle marrone tutta crepata al centro della stanza, lo stereo magico che aveva risparmiato tanto per comprare vicino alla finestra, era ancora tutto lì.

Com'era possibile? Non pagava l'affitto da anni.

Col suono dei suoi passi attutito dalla polvere, Sirius fece un giro. Aprì il frigorifero in cucina. Era spento, e vuoto. Qualcuno doveva averlo svuotato del cibo che era rimasto dopo che lui era stato arrestato. Il posacenere sul tavolino del salotto era pulito. Accanto c'era un vecchio pacchetto di sigarette e un accendino impolverato. Sirius ne prese una e la accese. Era secca e fragile, e sapeva di passato.

Si spostò in camera da letto. Il copriletto era coperto di polvere come tutto il resto. La situazione era migliore dentro l'armadio, dove la polvere aveva faticato a entrare. I suoi vestiti erano ancora tutti lì. Fece scorrere lo sguardo sui capi, mancava solo un vecchio maglione blu. Ricordava come se fosse il giorno prima di averlo tolto e averlo lasciato buttato in malo modo in fondo all'armadio.

Sirius tornò in salotto e spense la sigaretta nel posacenere. Quella era casa sua, non Grimmauld Place. Sarebbe voluto restare, ma il tempo che poteva dedicare alla sua scappatella era agli sgoccioli e non poteva rimanere così esposto.

A malincuore, uscì dalla porta e si trasformò di nuovo in Felpato. Era ora di andare ad affrontare i rimproveri che lo attendevano a Grimmauld Place.

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