Ho svuotato l'armadio, l'ho riempito, mi sono vestita. Non ero convinta, così l'ho svuotato di nuovo. Lui è genuino, eppure io non riesco a non essere agitata. Tacchi? No, niente tacchi. Non voglio essere costretta a zampettargli dietro tutta la sera. Trucco? Poco, voglio essere io, soltanto io, stasera. I jeans sono troppo sportivi, per cui li lancio sul letto, in cima al mucchio. Adocchio una gonna di tartan ma no, la uso per andare a lezione: stasera non va bene.
"Torni tardi?" Chiede mio padre, dal bagno.
"Non credo... cioè, non so... - Dove andremo? Cosa faremo? Perché gli appuntamenti mi gettano sempre nel panico? – Perché mi fai queste domande?"
Papà raggiunge la porta di camera mia e mi fissa, divertito.
"Se dovessi avere bisogno e vuoi scappare, scrivimi. Ti chiamo e ti dico di tornare a casa. Sono bravo a prendermi la colpa."
Sbuffo e torno a guardare la pila di vestiti sul mio letto.
"Come dovrei vestirmi?"
Papà scoppia a ridere e, scendendo le scale, urla: "chiama tua madre!"
*.*.*
Matt misura a lunghi passi il marciapiede davanti all'entrata del Veronica's. La tensione di poco fa scende all'improvviso, nel vederlo torcersi nervosamente le mani. È difficile da spiegare il percorso mentale per cui vederlo agitato mi distende. Immagino che c'entri con il sentirsi desiderati.
Si accorge del mio arrivo mentre attraverso la strada. Accenna un sorriso e un pensiero gli attraversa gli occhi. Improvvisamente si sfila gli occhiali e, imbarazzato, li infila nella tasca della giacca di tweed. Lo raggiungo e mi sporgo appena, per lasciargli un bacio sulla guancia che lo fa sorridere.
"Tienili, - Gli dico, facendo cenno agli occhiali di corno. – ti stanno bene."
"Sì, be'...Sono solo leggermente astigmatico, non mi servono davvero, è che avevo mal di testa prima di uscire e..."
"Matt." Lo interrompo.
"Sì?"
"Non farti venire il mal di testa."
Scoppia a ridere, farfuglia un va bene e mi offre il braccio. Percorriamo, lenti, Market Street. Io mi stringo nel cappotto, consapevole di quanto il mio dolce vestitino verde petrolio sia troppo leggero per il vento di marzo. Passeggiando, Matt mi chiede delle mie lezioni e io colgo l'occasione per lanciarmi nell'ennesimo elogio del corso di Cinema.
"Abbiamo appena superato il cinema delle origini e ora siamo alle avanguardie europee." Gli spiego. Lui sembra interessato, così continuo. "Mi è piaciuto da impazzire Méliès – sai, quello che si vede anche in Hugo Cabret! – Il suo era un cinema che era più che altro trucchi di magia, non scriveva delle vere e proprie storie... Però guardare i suoi film è un po' come entrare in un sogno, nel sogno di un bambino."
"Aspetta, forse ho presente chi è: è quello della luna col proiettile nell'occhio?"
Scoppio a ridere.
"E' un razzo!"
"Ah, sì. Scusa. – Si gratta il naso e stringe leggermente la presa sul mio braccio. – Il sogno di un bambino... A pensarci, è vero sai? È una bella immagine."
Costeggiamo la Radcliffe Camera e ci dirigiamo lentamente verso High Street. Una domanda mi balena per la mente:
"Sappiamo dove stiamo andando, o cerchiamo un posto dove mangiare?"
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Victoria's state of mind
RomanceVictoria sta per cominciare il suo terzo anno alla facoltà di Lettere di Oxford. Ha la sua amica Piper, litri di caffè e tanta voglia di fare. Il primo corso del nuovo anno è quello di filologia classica. Quello che ancora non sa è che il professore...