Capitolo 41 - After the storm

373 18 1
                                    



"Sono Victoria."

"Sali."

Do un ultimo sguardo al cielo: le nuvole sono cariche di pioggia. Salgo le scale nella penombra e trovo la sua porta di casa aperta, Jeffrey appoggiato allo stipite, mezzo sorpreso di vedermi, mezzo no.

"Posso entrare?" Chiedo.

"Certo." E si scansa appena per farmi passare. Lo sfioro e sento i miei capelli sfrusciargli sulla barba.

Anche il suo appartamento è in penombra. Il soggiorno è inondato nella solita luce giallastra della lampada dal lungo stelo. C'è un libro sul tavolino accanto al divano: Lettere a Milena. (1)

"Posso offrirti qualcosa?"

"Un caffè."

La memoria olfattiva è la più immediata. Mi basta il profumo del cuoio del divano a richiamare le sensazioni di mille pomeriggi invernali. Jeffrey ricompare dalla cucina accompagnato dall'aroma del caffè appena fatto. Mi porge una tazza e ne bevo un lungo sorso, prima di iniziare a parlare.

"Perché sei ricomparso? Eri sparito, perché?"

"Credevo di essere stato chiaro: mi mancavi." Il suo tono è caldo e deciso, come il caffè.

"Sì, ma perché ti mancavo?"

"Nike..."

"Non mi sembra una domanda difficile."

"Cosa vuoi che ti dica?"

"La verità, una volta tanto."

"La verità è che non lo so. Mi manchi, ti voglio. Punto."

Questa è beninteso soltanto la verità di un istante, di un momento tremante di dolore e di felicità. (2)

"Tu non vuoi me, Jeffrey. Tu vuoi qualcuno che ti ascolti, e non è molto giusto. Non lo è proprio."

Silenzio.

Ammutolito per la prima volta da quando lo conosco, Jeffrey posa la tazza vuota del caffè e si avvicina all'armadietto degli alcolici. Apre una bottiglia di Glenfiddich (3) e se ne versa un bicchiere. Senza chiedere, ne versa uno anche a me. Resta in silenzio e schiva il mio sguardo. È colpevole e forse, una volta tanto, lo sa.

"Non voglio puntare il dito contro di te, - continuo. – ci ho messo anche del mio in tutto questo casino. Penso di aver frainteso un po' tutto."

Con un sorso di whiskey riporto alla mente il povero Catullo, Nabokov e tutta la letteratura che è passata da questo salotto.

"Non hai mai smesso di essere il mio professore, e non solo per colpa tua. Nemmeno io volevo che smettessi."

"Mi dispiace, Victoria."

"Dispiace anche a me."

Si massaggia la barba e siamo entrambi a corto di parole. Beviamo in silenzio, ognuno nel proprio vicolo cieco, pensando agli errori e alle colpe. Il peso di quegli errori, però, credo di averlo pagato solo io. Il mio cuore e il suo ego hanno giocato e hanno perso entrambi. Finisco il whiskey e mi alzo. Il cuore comincia a pesarmi: io so che un capitolo è finito, ma vai a spiegarglielo al cuore. (4)

"Stai con lui, ora?" Nella sua voce si è aggiunto il retrogusto fumoso del whiskey. "Il ragazzo."

"No. – Scuoto la testa, mentre rifletto sul fatto che mentire non sarebbe di alcuna utilità. – Non è la persona per me."

Victoria's state of mindDove le storie prendono vita. Scoprilo ora