"Sono Victoria."
"Sali."
Do un ultimo sguardo al cielo: le nuvole sono cariche di pioggia. Salgo le scale nella penombra e trovo la sua porta di casa aperta, Jeffrey appoggiato allo stipite, mezzo sorpreso di vedermi, mezzo no.
"Posso entrare?" Chiedo.
"Certo." E si scansa appena per farmi passare. Lo sfioro e sento i miei capelli sfrusciargli sulla barba.
Anche il suo appartamento è in penombra. Il soggiorno è inondato nella solita luce giallastra della lampada dal lungo stelo. C'è un libro sul tavolino accanto al divano: Lettere a Milena. (1)
"Posso offrirti qualcosa?"
"Un caffè."
La memoria olfattiva è la più immediata. Mi basta il profumo del cuoio del divano a richiamare le sensazioni di mille pomeriggi invernali. Jeffrey ricompare dalla cucina accompagnato dall'aroma del caffè appena fatto. Mi porge una tazza e ne bevo un lungo sorso, prima di iniziare a parlare.
"Perché sei ricomparso? Eri sparito, perché?"
"Credevo di essere stato chiaro: mi mancavi." Il suo tono è caldo e deciso, come il caffè.
"Sì, ma perché ti mancavo?"
"Nike..."
"Non mi sembra una domanda difficile."
"Cosa vuoi che ti dica?"
"La verità, una volta tanto."
"La verità è che non lo so. Mi manchi, ti voglio. Punto."
Questa è beninteso soltanto la verità di un istante, di un momento tremante di dolore e di felicità. (2)
"Tu non vuoi me, Jeffrey. Tu vuoi qualcuno che ti ascolti, e non è molto giusto. Non lo è proprio."
Silenzio.
Ammutolito per la prima volta da quando lo conosco, Jeffrey posa la tazza vuota del caffè e si avvicina all'armadietto degli alcolici. Apre una bottiglia di Glenfiddich (3) e se ne versa un bicchiere. Senza chiedere, ne versa uno anche a me. Resta in silenzio e schiva il mio sguardo. È colpevole e forse, una volta tanto, lo sa.
"Non voglio puntare il dito contro di te, - continuo. – ci ho messo anche del mio in tutto questo casino. Penso di aver frainteso un po' tutto."
Con un sorso di whiskey riporto alla mente il povero Catullo, Nabokov e tutta la letteratura che è passata da questo salotto.
"Non hai mai smesso di essere il mio professore, e non solo per colpa tua. Nemmeno io volevo che smettessi."
"Mi dispiace, Victoria."
"Dispiace anche a me."
Si massaggia la barba e siamo entrambi a corto di parole. Beviamo in silenzio, ognuno nel proprio vicolo cieco, pensando agli errori e alle colpe. Il peso di quegli errori, però, credo di averlo pagato solo io. Il mio cuore e il suo ego hanno giocato e hanno perso entrambi. Finisco il whiskey e mi alzo. Il cuore comincia a pesarmi: io so che un capitolo è finito, ma vai a spiegarglielo al cuore. (4)
"Stai con lui, ora?" Nella sua voce si è aggiunto il retrogusto fumoso del whiskey. "Il ragazzo."
"No. – Scuoto la testa, mentre rifletto sul fatto che mentire non sarebbe di alcuna utilità. – Non è la persona per me."
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Victoria's state of mind
RomanceVictoria sta per cominciare il suo terzo anno alla facoltà di Lettere di Oxford. Ha la sua amica Piper, litri di caffè e tanta voglia di fare. Il primo corso del nuovo anno è quello di filologia classica. Quello che ancora non sa è che il professore...