«Sorpresa!».
Fu questo il grido gioioso che mi accolse non appena misi piede in casa mia, dopo essere stata dimessa dall'ospedale in seguito al lungo periodo di convalescenza che mi aveva coinvolta.
L'atrio d'ingresso era gremito di persone, così numerose che alcune di loro erano state costrette ad invadere anche gli spazi della cucina e del salotto, lì affacciate.
Oltre a mia mamma e a nonna Lina - che erano state con me, alternandosi nella stanza, per tutta la durata della mia permanenza in reparto e che mi avevano scortata insieme fino al ritorno alla mia abitazione -, c'erano davvero tutti. Tutti. I miei compagni di scuola; moltissimi dei professori; i genitori di Sara; quelli di Jonathan; numerose facce amiche accompagnate da altre che con ogni probabilità conoscevo, ma alle quali non riuscivo a dare una collocazione.
«Tanti auguri! Buon compleanno», gridavano felici.
Quasi non riuscivo a vedere i limiti della mia casa, da quanti erano i cartelloni colorati che, retti dalle mani dei miei compagni, riempivano la mia dimora di auguri per il mio compleanno - che in realtà era caduto nel giorno del mio incidente... Appeso al soffitto a noi soprastante capeggiava, invece, un festone che recitava: "Ben tornata a casa".
Una scossa di gioia mi fece vibrare le viscere nel momento in cui i miei occhi scorsero la scritta.
Casa. Casa mia.
Per la prima volta, dopo tanto tempo, sentivo che quella parola mi apparteva.
Casa.
Aveva un suono così dolce...
Tutta quella folla prese poi ad abbracciarmi e a felicitarsi con me per la mia guarigione. La maggioranza di loro gridava al miracolo.
«Ha dello straordinario, davvero! In pratica ti davano per spacciata! Hai spuntato anche questa, eh...? È un miracolo. Un miracolo!».
Quella parola - "miracolo" - m'era stata ripetuta così tante volte da perdere di significato. Sembrava una "frase fatta". Un modo di dire, o niente di più. Ma io sapevo. E loro neppure potevano immaginare la veridicità di quel termine...
Fino a quel giorno, non avevo ancora raccontato a nessuno ciò che mi era successo. Nutrivo uno strano senso di gelosia nei confronti di quell'esperienza, quasi fosse un segreto che io dovevo custodire, un tesoro che volevo che nessuno sgualcisse, con i rudi tocchi delle loro mani. Tuttavia, ne ero consapevole, non avrei retto ancora a lungo perché a il ricordo era tanto vivido da pulsare costantemente nel sottopelle; premeva per uscire, espandersi e radicarsi nella vita di chiunque avesse ascoltato con il cuore ciò che io avevo da raccontare.
All'improvviso, sopraggiunse una frase, alle mie spalle: «Ricordami di non organizzarti mai più una festa a sopresa. Dico sul serio».
Avrei riconosciuto la sua voce fra mille.
«Organizzarti feste a sorpresa lede gravemente alla salute. La tua e quella degli altri. Specie per il fatto che, a causa di forza maggiori, la festa in questione è stata in pratica organizzata due volte - il doppio del lavoro, dico io. E per non parlare, poi, delle manie di persecuzione e le teorie complottistiche e di tradimento organizzato che ti si sono profilate in testa e che mi hanno vista coinvolta, inesorabilmente, fra le file dei cattivi. No, dico sul serio, io e Jonathan insieme? L'hai pensato seriamente?».
Sara... Dio, quanto mi era mancata quell'esserino logorroico.
Quando finalmente mi girai e posai il mio sguardo su di lei, mi accorsi di quanto i suoi occhi fossero lucidi di commozione. Prese a fare dei piccoli cenni di diniego e, portandosi le mani alla fronte, quasi a voler arginare e riordinare i pensieri, disse: «Mi dispiace così tanto, Daisy, così tanto. Io... Ti ho detto delle cose bruttissime... Non le pensavo! Ed è colpa mia... Io-».
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La Bella Addormentata Non Si Sveglia Più [COMPLETA]
General Fiction"Quand'ero piccola, ero convinta che dormire fosse come perdersi una fetta di vita. Adesso ci sono giorni in cui non vedo l'ora di potermi mettere nel letto e spegnermi. Semplicemente spegnere i miei pensieri e cessare di vivere per un po'." Daisy h...