16.

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Malgrado mi impegnassi a smettere di fissarlo, i miei occhi continuavano a scorrere veloci, a momenti alterni, dal viso di Jack alla strada e dalla strada al viso di Jack. Non riuscivo ad impedire a me stessa di soffermarmi ad indagare su quella superficie gonfia e violacea che, tutta intorno al suo occhio destro, quasi impediva alle palpebre di muoversi.

Il ragazzo, di pietra, continuava invece a trattenere lo sguardo, fisso, di fronte a se, le mani ben salde sul volante, quasi non consapevole della mia presenza vicino a lui.

«Mi vuoi dire che cazzo è successo Jack?». Era almeno la decima volta che gli ponevo la stessa domanda senza tuttavia ricevere risposta. Non un cenno, non un tentativo di farmi almeno capire che aveva anche solo sentito la mia voce. Niente di niente.

A seguito del suo ennesimo indifferente silenzio, iniziai amaramente a pensare che l'evidente pugno subito, dovesse avere avuto effetti anche sul suo udito.

«Ma almeno mi rispondi? Sei sordo o che?», chiesi esasperata.

La macchina inchiodò di colpo e io, non preparata a quella brusca frenata, mi sentii stretta dalla cintura di sicurezza la quale, stringendosi intorno al mio busto, mi sfregò il collo. D'istinto portai una mano a toccare la zona così delicata che, in quel momento, doleva bruciante. Constatai che la pelle era liscia, non sembrava essere successo niente di preoccupante. Gettai quindi uno sguardo al di là del finestrino, al fine di verificare dove fossimo, persuasa di essere quanto meno arrivata a casa di Jack, ma fui sorpresa di non essere ancora arrivata a destinazione.

«Ma dove siamo? Perché hai fermato la macchina?».

Jack, silente, dopo aver spento il motore, si slacciò la cintura e si sporse rapido verso di me, premendo violentemente le sue labbra sulla mia bocca, quasi impedendomi di respirare.

«Ma... che fai?», provai a chiedere cercando di liberarmi dalla sua morsa.

«Zitta», mi intimò, stringendo le mani sulle mie braccia tanto da farmi male.

La sua lingua famelica si fece spazio, avida, nella mia bocca e io, inerme, cercai di ricambiare come meglio potei quei baci inaspettati e prepotenti dal forte sapore di alcol. Doveva aver bevuto molto e, sicuramente, doveva essere stato qualcosa di davvero forte. Non riuscivo a riconoscerlo in quei suoi movimenti che, forse per la prima volta, stava adottando con me. Non era passione quella, non mi sentivo desiderata come tante altre volte mi aveva fatto sentire. Nei suoi gesti, trovai solo un desiderio crudelmente egoista.

Con il viso trattenuto con forza sul suo, contrassi gli occhi al pensiero che, solo qualche minuto prima, il cuore mi era balzato in gola alla vista della macchina scura, parcheggiata di fronte alla scuola.

"Vai! Vai a prenderti il tuo principe!", Le parole della mia amica suonavano terribilmente ironiche in quel momento così surreale.

Una mano si avventò sulla chiusura dei miei Jeans con il chiaro intento di riuscire a sbottonarli.

«Ja…ck… co…sa f…ai?», cercai di chiedere, svincolandomi dalla presa delle sue labbra premute con insistenza sulle mie. «Jack… No…n ... Non... qui…!».

Fu come non avessi neanche parlato. Con abile mossa slacciò i miei pantaloni e tirò giù la cerniera, iniziando a strattonare il tessuto che stringeva fra le mani nel chiaro proponimento di liberare la mia pelle.

«Jack!», lo allontanai bruscamente spingendo le mie mani sul suo petto, «Ti ho detto non ora!», urlai.

Non dimenticai mai quell'attimo: il ragazzo moro, di fronte a me, mi guardò serio, le sue belle sopracciglia inarcate. Poi, all'improvviso, un qualcosa sembrò impossessarsi di quei suoi occhi verdi. Il suo sguardo si illuminò di una strana luce e, al posto del suo classico sorrisetto strafottente, si presentò un ghigno, a capeggiare suo viso.

La Bella Addormentata Non Si Sveglia Più [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora