26.

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Avevo ancora il sapore rancido nella bocca quando lo decisi: «Devo andare a vendicare mio padre».

Nel pronunciare quella frase, mi misi in piedi e posai la bottiglia di vetro trasparente, ormai vuota, sul comodino.

A causa dei forti giramenti di testa dovuti dall'alcol, feci fatica ad orientarmi per arrivare al motorino che mi sarebbe stato utile per raggiungere casa Bravi. Tuttavia riuscii nell'intento e dopo aver litigato con la cinghietta del casco, che faceva di tutto per non allacciarsi, sfrecciai dritta verso il mio obiettivo.

Non so come, considerato lo stato pietoso in cui mi trovavo, giunsi a destinazione sana e salva ed era già sull'imbrunire del giorno quando mi avventai sul citofono dell'abitazione, prendendo a battere con forza i pugni sul portone.

Mi venne ad aprire il piccolo di casa, il fratellino di Jonathan, il quale finì a terra quando io, decisa ad arrivare dritta al motivo della mia presenza lì, involontariamente lo spinsi via per farmi strada. «Scusami, devo parlare con tuo padre», furono le scarne e sbrigative spiegazioni che gli riservai.

«Davide!», chiamai, incurante del bambino che mi guardava con gli occhi spaesati, «Davide Bravi!», ringhiai ancora.

«Papà!», iniziò a strillare anche lui, quasi dandomi manforte, «Papà, aiuto!».

"Aiuto".

Provai una stretta al cuore al suono di quella richiesta di soccorso pervenuta dal piccolo che, colpito da me, terribile mostro, ancora risiedeva spaventato sul pavimento. Il breve ripensamento tuttavia durò il tempo di scorgere il volto preoccupato di Jonathan fare capolino nell'atrio d'ingresso.

Spaesato, il ragazzo posò i suoi occhi su di me.

Nel momento stesso in cui il suo sguardo si incrociò con il mio, ebbi un conato di vomito e con rabbia gli andai in contro, spingendolo con violenza.

«Daisy?!», chiese lui in un filo di voce, confuso, mentre ritrovava l'equilibrio perso, «Daisy, che stai facendo?».

«Daisy, che stai facendo?», gli fece da eco la voce severa di Davide, anche lui accorso lì in soccorso, accompagnato dalla moglie che subito si avvicinò al piccolo a terra, accogliendolo fra le braccia.

Puntai i miei occhi carichi di odio verso il padre di famiglia, responsabile di aver distrutto la mia di famiglia.

«Tu!», tuonai avvicinandomi all'uomo, «Tu! È tutta colpa tua!», gli gridai.

Lo colpii forte con un pugno sul viso e come una furia cercai di farlo ancora e ancora, sotto gli occhi esterrefatti della famiglia, che assisteva alla scena allibita. Tuttavia Davide, dalla sua statura, seppe come difendersi dalla mia offensiva: mi afferrò i polsi e mi incrociò le braccia, tenendomi stretta da dietro.

Dapprima provai a sciogliermi da quel laccio, dimenandomi e provando a colpirlo, ma ogni tentativo fu vano e infine fui costretta ad arrendermi.

Rimanemmo così, in quella strana presa che sapeva di abbraccio, qualche secondo, in cui senza accorgermene smisi di respirare.

Sentivo il suo respiro caldo solleticarmi il capo, quando con una calma che mi diede i nervi mi comunicò: «Daisy, non so che cosa tu abbia. Ma sappi che noi siamo pronti ad accoglierti. Ora ti calmi e ci dici che succede».

Continuò a trattenermi fra le sue braccia forti, le quali quasi mi cullavano con movimenti lenti e oscillatori e, a poco a poco, il mio respiro si stabilizzò.

«Daisy, puoi fidarti di noi».

Una nuova ondata di nausea si abbatté di nuovo si di me e, prima ancora che potessi reagire, sentii salire dalla mia gola un conato di vomito, che, rovinosamente, rovesciai su tutto il pavimento, sotto gli occhi allibiti della famiglia Bravi che prese a vorticare velocemente intorno a me.

La Bella Addormentata Non Si Sveglia Più [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora