25.

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«Jo», cercai di gridare per farmi sentire dal ragazzo che distava da me diversi metri, «Jonathan!», riprovai a tirar fuori la voce che, invece, ancora una volta, mi morì in gola.

Vidi quella testa di capelli chiari infilarsi il casco e salire in sella dello scooter che lo fece sfrecciare via, forse ignara del fatto che io provassi a rincorrerlo cercando di attirare il suo sguardo. Continuai a inseguirlo incurante dell'affanno e mi arresi solo una volta che il motorino ebbe svoltato l'angolo, rimanendo precluso ai miei occhi.

Mi fermai di colpo. Il cuore bloccato in gola, lo sguardo perso, arreso.

«Jonathan», lo richiamai ancora, un soffio impercettibile.

Intorno a me il mondo sembrava aver perso la sua corporeità.

La mia testa girava a vuoto in un mare di nulla da cui emergevano domande che nemmeno riusciva a formulare, figuriamoci a dar loro una risposta.

Che diavolo è successo...?
Possibile che... lui...?

Rimasi immobile per un tempo che non saprei definire con certezza, probabilmente secondi, o magari svariati minuti in cui, quasi, dimenticai di battere le ciglia.

Forse ho capito male...
Forse è Samantha che questa volta il cervello se l'è bevuto davvero...
-
"È tutta colpa tua se mio marito è morto"...
-
Papà...? Papà, la mamma ha ragione?

Il senso di profonda frustrazione che avevo addosso mi spinse a tirare un calcio rabbioso ad un sassolino, colpevole solo di essersi trovato nei pressi del mio piede. Osservai quel minuscolo corpicino spigoloso rotolare - rantolare - sull'asfalto. Poi mi voltai indietro, per tornare verso casa, decisa ad avere spiegazioni da mia madre.

Arrivata sul vialetto, constatai che la porta era stata chiusa. Prima che io potessi entrare.

«Samantha!», presi a battere con forza il varco chiuso, «Samantha, devi raccontarmi quello che è successo!».

Senza ricevere risposta provai a suonare il campanello. Magari non m'ha sentito.

Aspettai.

Niente.

Riprovai a pigiare il tasto, provando questa volta a tenerlo premuto a lungo.

«Ma'!», urlai.

Niente.

Sopraffatta allora da quel senso di frustrazione crescente, mi avventai contro la porta. «Diavolo, Samantha! Voglio sapere che è successo! Apri!».

Battei le palme delle mani su quella superficie fredda tanto forte da farle diventare rosse. Tanto forte da farmi male e farmi smettere di pensare al dolore che avevo dentro per un po', anche se per troppo poco.

«Ti prego! Apri!», mi abbattei affannatamente su quella porta chiusa.

Sderenata, mi resi conto di non riuscire più a reggere il peso del mio corpo. Mi lasciai cadere a terra, la schiena che scivolava abbandonata su quella superficie liscia, dura tanto da non accennare ad aprirsi, e le braccia molli, sciolte lungo il busto.

Mantenni lo sguardo fisso su un punto indefinito della strada per un tempo indefinito; perso, come perso era il mio cuore.

In quella posizione gli occhi mi si fecero pesanti e io mi sentii come sprofondare risucchiata dal terreno. Arresa.

Quando Samantha si decise ad aprire la porta, sussultai.

Senza forze per rimproverarla mi limitai a fulminarla con lo sguardo, emettendo solo un insignificante e appena percettibile: «Era ora!».

La Bella Addormentata Non Si Sveglia Più [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora