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Un dolore pervadente fu la prima cosa che avvertii nel momento stesso in cui mi accorsi di fare ritorno nuovamente entro i confini della mia pelle. Non era un semplice malessere fisico quello che sentivo diffuso nel corpo e con maggiore intensità alla testa, alla gamba e a un braccio. Era una ferita aperta - uno squarcio - ben più profondo: il pressare di una lama affilata che si incattiviva nella carne della mia anima, le fitte aguzze e reiterate scagliate con forza dalla consapevolezza di essere stata strappata alla verità, l'unica esistenza possibile, l'unica ragione, l'unica vita che poteva valere la pena di essere vissuta.

No, no, no, no, no.
Non è possibile che io sia di nuovo qui....

Posai i miei occhi sulle pareti scialbe della stanza d'ospedale in cui mi trovavo. Le superfici lisce erano verniciate di bianco candido, ma nei miei occhi, e alla luce delle tinte vive che avevo visto dall'Altra Parte, quello stesso colore assumeva le sembianze di uno squallidissimo grigio spento. Privo di vita. Morto.

Io non voglio stare qui! Riportatemi di Là!

All'improvviso ebbi l'impressione che l'ossigeno fosse troppo poco per poter sopravvivere lì, in quella terribile e opprimente realtà a cui avevo fatto ritorno, e il mio respiro si fece sempre più corto e affannato, mentre il mio cuore pareva volersi liberare del mio corpo, uscirmi dal petto, squarciarmelo, e abbandonarmi per sempre, senza fare più ritorno.

Un neonato strappato dalle braccia di una madre amorevole e gettato in uno scantinato freddo, buio e sporco. Così mi sentivo. E, pur senza riuscire ad emettere suono, gridavo e strillavo; allungavo le mie braccia, che invece erano immobili, bloccate dalla flebo che m'avevano conficcato nella carne, ormai violacea, ma nessuna mano veniva in mio soccorso. Nessuna mano afferrava la mia e mi prendeva, riportandomi a sé.

Sono di nuovo sola. Risuonò il vuoto del mio essere.

Abbandonata.

Dimenticata.

Orfana.

Un freddo viscido e agghiacciante mi solleticò la schiena.

La realtà che mi circondava sembrava così insipida e sbagliata, al confronto di ciò che avevo vissuto dall'Altra Parte, in quella mia esperienza extracorporea...

Tutto questo... Non è possibile. Non ha senso. Perché sono di nuovo qui? A che scopo?

Mi sentivo disperata, di una disperazione nuova che mai, mai avevo provato - nemmeno quando era morto papà.

Ancora prima che potessi accorgermene, quella profonda frustrazione, mista al senso di abbandono e a quello di ingiustizia, mi si accumulò negli occhi e si tramutò in un pianto sfrenato, di quelli in cui ti affoghi con il sale che raggiunge le labbra e dove i polmoni soccombono alla stretta l'angoscia che non allenta la presa.

Ti prego, Dio! Riportami lì! Riprendimi con Te... Ti prego!

Ogni lacrima era un grido soffocato, una preghiera che non smetteva di supplicare; ogni respiro che provavo a tirare, l'aborto del mio tentativo di tornare in Quel luogo, fuori dalla mia pelle, dove eri tutto e il tutto era in te. Dove non c'era spazio per il vuoto e il dolore non lo poteva riempire, perché l'Amore invadeva ogni angolo e ti abbracciava e pulsava dentro di te.

"Tu appartieni a questo posto, ma non è questo il tuo momento".

La frase con la quale mi avevano congedata continiava a rimbombarmi in maniera assordante nella testa. Ma la consapevolezza a cui mi costringeva - Io ci appartengo, appartengo a Quel posto; appartengo all'Amore - non sembrava, in quel momento, sufficiente a lenire tutta la gran sofferenza che il fatto stesso di essere ritornata nei confini della mia pelle mi aveva scavato dentro.

La Bella Addormentata Non Si Sveglia Più [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora