11.

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«E così... Begli occhi e sopracciglia scure...», sibilò Sara passandomi il paio di jeans che mi aveva portato per il cambio.

«Non giudicare!», la sgridai io. Odiavo quando avvertivo che Sara disapprovava quello che facevo. Mi sentivo già tante di quelle volte inadeguata per conto mio che non avevo proprio bisogno che la mia migliore amica rincarasse la dose.

«Ci ho rinunciato ormai», mi comunicò piatta, «Però...», esordì civettuola, «Questa è la prima volta che ti vedi due volte con lo stesso tipo! ...O sbaglio?».

«Non è successo niente, Sara...», liquidai subito il suo entusiasmo.

«Non è successo niente, o non te lo ricordi?», insinuò.

«Che noiosa!», sbottai io, «Non è successo niente ti ho detto!», e gli strappai di mano, arrabbiata, la felpa che mi stava porgendo.

«Ehi, calmina!», mi urlò, «Solo perché tu hai avuto una nottataccia non significa che tu debba dar contro a me!».

«Hai ragione», mi scusai, «Perdonami, non mi sento troppo bene». Feci appena in tempo a terminare quel tentativo di giustificarmi che starnutii ripetutamente, inutile ogni tentativo di contenimento.

Subito Sara, in modalità "mammina preoccupata", mi mise una mano sulla fronte per verificarne la temperatura.

«Tu scotti!», esclamò, «Tesoro...ma sei sicura che non ti convenga andare a casa?», mi chiese accorata dimenticandosi, come d'incanto, com'era solita fare, dei modi poco carini che le avevo rivolto un attimo prima.

«No, tranquilla, ce la faccio...», la rassicurai.

D'istinto mi venne da gettarle le braccia al collo. La strinsi, ma subito mi ritrassi. Non amavo rimanere a lungo in un abbraccio. Ogni volta, dopo appena pochi secondi, avvertivo come un senso di disagio, imbarazzo.

«Grazie perché mi vuoi bene sempre», le dissi sinceramente, «Sei l'unica...», conclusi, chinando il capo.

Sara mi sorrise e allargò le braccia facendomi cenno, piegando su se stesse le mani, di accostarmi al suo petto. «Vieni», mi invitò.

Non senza titubanza, tornai nuovamente in quel abbraccio, lasciando, questa volta, che la mia amica mi cingesse le spalle. Sembra una cosa sciocca, ma, per me, fu uno sforzo enorme. Il mio corpo era annodato, duro come marmo. E, non ne sono certa, ma credo che i miei polmoni abbiano cessato di contenere aria.

«Lo sai che non è vero», mi sussurrò, «Tante altre persone ti vogliono bene. Solo che tu non te ne accorgi». Mi strinse più forte. Io mi irrigidii un po' di più. «Ovvio», mi disse all'orecchio, facendosi spazio fra i mie capelli, con un guizzo nella voce, «Io ho il primato!», esultò fiera.

Era bello. Era davvero bello avere nella mia vita una persona come Sara. In momenti come quello sentivo che non esisteva al mondo tempesta che fosse tanto forte da impedirmi di poter tornare fra le acque calde del suo bacino. Lei era il mio porto sicuro.

Lentamente, avvertì i miei muscoli rilassarsi.

«Devo dirti una cosa, però...». Subito, ancora una volta, irrigidii le spalle, più dure di prima, ritraendomi di scatto.

«Dimmi», la invitai a continuare allarmata.

«La ricerca di storia dell'arte...», iniziò drammatica.

«Si?».

«Vuoi la notizia bella o quella brutta?», temporeggiò, gli occhi spalancati, sfoggiando uno dei suoi sorrisi tirati.

«Sara, eddai!», la rimbeccai io, «La brutta!». Meglio togliersi il dente subito.

«Sei in gruppo con Jonathan».

La Bella Addormentata Non Si Sveglia Più [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora