6.

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Continuavo a fare il giro dell'isolato senza decidermi ad entrare per quella porta. Erano tre giorni che non tornavo a casa.

Samantha sapeva benissimo dove mi trovavo e perché (la mamma di Sara aveva insistito per avvisarla). Ma questo non le aveva impedito di intasarmi letteralmente il cellulare con i suoi pateticissimi messaggi in cui implorava il mio perdono. "Amore, ti prego perdonami"; "Devi capire, non ero in me"; "Mi sento uno straccio per quello che ho fatto, scusami ti prego"; "Senza di te non ce la faccio. Ho bisogno di te, ti scongiuro devi perdonarmi, torna a casa!"; "Sei la cosa più importante e io ti ho fatta soffrire. Continuo a farlo. Non so come perdonarmi...Sappi solo che non avrei mai voluto". E una serie di altri messaggi tutti pressoché uguali l'uno con l'altro.

Qualche frangente del mio essere doveva ancora riuscire a credere alle parole, ormai diventate false, di quella donna che un tempo chiamavo "mamma" perché, in alcuni momenti, mi trovai a scorrere su quella chat indugiando sulle lettere impresse sulla tastiera.

Gloria a Dio mia madre non perdeva occasioni per smentirsi nelle sue migliori intenzioni: "Sei una stronza! Non riesci a capire che così mi fai soffrire?"; "Rimango pur sempre tua madre, e tu, cara mia viziatella, mi hai proprio deluso!"; "Fai schifo! Il tuo comportamento fa schifo!"; "Se tuo padre vedesse come ti comporti con tua madre sarebbero guai!".

Se mio padre vedesse in che condizioni ti sei ridotta forse mi capirebbe. E forse saprebbe anche cosa fare. E io non sarei sola di fronte a tutto questo schifo...

Leggevo quelle parole apatica, quasi fossero rivolte a qualcun altro.
Avevo addirittura smesso, ormai, di provare a comprenderla. Lasciavo che il suo veleno mi scorresse sulla pelle senza permettergli di lasciar traccia. Avevo scelto di precluderle il cuore.

Sarà stata almeno la decima volta che passavo di fronte al portone di casa, ormai il sole era prossimo al tramonto ed iniziavo ad avere freddo, quando mi rassegnai ad entrare.

Aprii la porta cercando di non farle emettere un suono. Ero costretta a tornare, ma non dovevo per forza imbattermi in Samantha.

Appena entrata fui abitata da un profumo stranamente familiare.

Forse ho sbagliato casa.

Era l'inconfondibile odore di torta di mele di mia madre. Non aveva alcun senso.

Automaticamente mi venne da guardarmi intorno, quasi a cercare quel qualcuno che, svelando una telecamera, saltasse fuori proclamando: "Questa è una candid camera!". Ma tutto sembrava regolare.

Guardinga mi avvicinai alla cucina cercando di spiare da dietro lo stipite, ad un'adeguata distanza, la donna che scoprii intenta a togliere una teglia fumante dal forno. Doveva averla presa male perché, boccheggiando, la poggiò veloce sul gas per poi scuotere la mano saltellando sui piedi. Si portò un indice alla bocca e ne succhiò un lato. «Mannaggia!», si lamentò.

Mia madre ha fatto la torta di mele. Constatai.

Mi ero immaginata mille ipotesi plausibili del mio fatidico rientro a casa, ma nessuna delle mille includeva Samantha indaffarata nell'arte della pasticceria.

Spostai lo sguardo verso il salotto persuasa di trovare qualcuno la cui la presenza spiegasse, in qualche modo, la stranezza alla quale stavo assistendo. Vuoto.

Riportai lo sguardo allibito su Samantha che, ignara, continuava il suo operato in cucina da brava donna di casa.

La vibrazione del telefono che tenevo in tasca tradì la mia presenza.

Merda!

Lei, subito, si voltò nella mia direzione.

«Amore, sei tornata!», esclamò correndomi incontro e stringendo il mio corpo imbarazzato e irrigidito al suo.

La Bella Addormentata Non Si Sveglia Più [COMPLETA]Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora