5. Vetri rotti

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Quella fu la domenica più lunga della mia vita. Non attendevo altro che la sera, per rivederla. Almeno però quel giorno c'era mio zio insieme alla sua compagna al negozio, quindi avrei avuto la mente occupata. Dovevamo fare l'inventario in modo da non dover chiudere durante la settimana e sistemare i nuovi arrivi. Sarei partito in quarta con il mio rigoroso metodo di elencazione, se solo non avessi avuto Alison come chiodo fisso nella testa.
«Nathan? Ci sei?» Phil mi risvegliò dalla distrazione, con il suo tono squillante.
«Eh? Sì, si dimmi.» risposi, scattando sull'attenti.
«È la terza volta che ti chiedo se mi passi quello scatolone che lo devo riempire con i libri di questo scaffale. Ma dove stai? Sei innamorato?» mi chiese, mentre facevo una delle mie migliori facce per nascondere la verità.
«Io? No, sono solo distratto, scusami zio.» dissi con nonchalance, andando a prendere lo scatolone che mi aveva chiesto.
«Va bene... ricordati però che puoi dirmelo eh, se c'è una donna nella tua vita. Hai ventun'anni, è più che normale!» esclamò lui, mentre sentivo le guance andarmi a fuoco. Non volevo girarmi altrimenti gli avrei confessato tutto. Nascosi la faccia dietro la scatola e poi andai via con la scusa di andare in bagno.
Da quando ero andato via da casa dei miei, per trasferirmi qui, Phil, che aveva promesso di controllarmi e vigilare su di me, aveva preso il loro ruolo e gli volevo molto bene per questo, ma ogni tanto si impicciava troppo negli affari miei.
Sentii il telefono vibrare nella mia tasca, segno che mi stava chiamando qualcuno, così uscii di soppiatto dal negozio e andai a rispondere. Era Alison: ero inaspettatamente felice che mi avesse chiamato.
«Ehi, Alison!» dissi allegramente, ma poi sentii dei singhiozzi e mi accorsi che non c'era proprio nulla di allegro in quella chiamata.
«Ti prego aiutami! C'è sangue dappertutto! Nathan!» urlò lei dall'altra parte del telefono disperata.
«Dove sei?» chiesi direttamente già iniziando a camminare.
«A casa, ti prego corri!» gridò ancora con voce rotta e quello non fece altro che farmi accelerare.
Arrivai in poco tempo e trovai la porta spalancata. La mia Alison giaceva a terra con la schiena appoggiata al bancone e circondata da pezzi di vetro. Uno dei quali era infilzato nel suo piede sanguinante. Piangeva e appena mi vide mi pregò di fare qualcosa.
«Tiramelo fuori! Mi sta spappolando il piede!» urlò mentre mi avvicinavo a lei scostando alcuni pezzi di vetro.
«Chiamo un'ambulanza, tu stai tranquilla e poi spiegami cos'è successo.» le dissi per calmarla anche se ero più in ansia io. Feci come le avevo detto e poi presi un asciugamano per tentare di tamponare la ferita.
«Stavo lavando i piatti e ho lavato quel bicchiere per ultimo, poi l'ho appoggiato lassù, ma non ho fatto caso a come stava messo e mi è caduto addosso! Si è rotto sul bancone e mi si è infilzato nel piede!» spiegò continuando a piangere e a urlare. Ad un tratto sulla soglia apparve anche una donna che assomigliava molto ad Alison, sulla quarantina, probabilmente era sua madre. Sembrava preoccupata.
«Che è successo qui? Tesoro stai bene?» chiese, dandomi la conferma che fosse chi pensavo.
«Vattene! Non ti voglio qua! Vai via, Moira!» urlò la ragazza accanto a me, e la signora, che stava tentando di aiutarla, si bloccò di colpo.
«Ma Ali, lascia almeno che...»
«NO! Te ne devi andare subito! Non ti è mai importato di me, non puoi iniziare a farlo adesso che ho vent'anni!» esclamò arrabbiata, senza nemmeno lasciarla finire.
Negli occhi di Moira si formarono le lacrime, ma fece quello che aveva detto sua figlia. Non mi intromisi negli affari loro, ma mi parve una reazione eccessiva da parte di Alison.
Poco tempo dopo arrivarono i soccorsi e bastò un medico che le estrasse i pezzi di vetro e le facesse qualche punto di sutura, per poi fasciarle il piede con una garza bianca. Lei rimase sul divano quando se ne andarono, io rimisi in ordine il casino, anche se la vista del sangue mi dava il voltastomaco e poi andai da lei.
«Ohi, come ti senti?» le chiesi sedendomi accanto a lei.
«Meglio. Ma dovrò trovare un modo per vendicarmi su quel maledetto bicchiere.» mi disse, corrucciando la fronte e facendo un ghigno malefico.
«Non è necessario, ormai finirà in un pentolone per essere fuso.» le ressi il gioco. E le sparì quella smorfia inquietante dal viso, sostituito da un sorriso.
«Puoi restare con me? Non voglio stare sola, potrebbe accadere di nuovo che mi cada un bicchiere addosso.» disse lei, prendendo la mia mano. Era così innocente e bella e a me piaceva tanto. Forse ero addirittura innamorato di lei.
«Certo, non me ne vado. Tranquilla.» la rassicurai, chinandomi per posare un bacio sulla sua bocca.
«E la cena?» chiese ad un tratto.
«Cucino io. Me la cavo bene, ti farò una delle mie specialità.» lei sorrise ancora e riprese a baciarmi. Le sue labbra sapevano di nuovo e di puro e mi sentivo onorato di essere stato il primo a poterle toccare.

Alice Stok
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Notizia veloce!
Anche con questa storia parteciperò al Concorso Plump Words 2019 gestito da masvherata e Primrose_Lovegood sul profilo di SentencesPower, vi invito tutti a partcipare perché mi sembra molto ben organizzato e buona fortuna a tutti quelli che seguiranno il mio consiglio!❤

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