35. Ventuno giorni

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Quando riuscii ad alzarmi dal letto, costretto dal subconcio a fare uno sforzo e tentare di continuare la mia vita senza di lei, mi trovai in bagno davanti allo specchio. Avevo un aspetto terrificante, la barba incolta, gli occhi gonfi, puzzavo e mi sentivo ancora malissimo.
Siccome di me stesso o del mio aspetto orripilante me ne importava meno di niente, indossai solo una felpa, delle scarpe da ginnastica e uscii finalmente da quella casa.

Fui investito dal panorama autunnale di ottobre che si calava con timidezza sulla città, perché senza volere erano passate tre settimane da quando Alison era morta. Il tempo era andato avanti inesorabilmente e io mi ero fermato a sabato 15 settembre.
Così, iniziai a camminare con le cuffiette nelle orecchie, ascoltando una playlist di canzoni suonate al pianoforte. Perché? Mi ricordavano lei.
Avevo bisogno di qualcosa che cancellasse il mio dolore, piano piano, portandoselo via a poco a poco.
Così entrai in una tabaccheria, ignorando lo sguardo stranito del commesso a cui chiesi un pacchetto di Winston e un accendino.
Non avevo mai provato a fumare e forse, anzi sicuramente, era una cazzata da fare, ma non mi importava.

Misi una sigaretta tra le labbra e la accesi, con movimenti meccanici, come se lo facessi da sempre. Il primo tiro fu traumatico perché cominciai a tossire e a lacrimare, ma poi ci presi la mano e non fu più difficile rovinarsi i polmoni con le schifezze che stavo fumando.

Non mi capacitavo che fossi arrivato a tanto, ma ero talmente annebbiato dal dolore che qualsiasi cosa che avesse potuto alleviarlo, l'avrei presa, bevuta, ingerita, non importava.
Mio zio non avrebbe mai dovuto saperlo e nemmeno mia madre, altrimenti sarei stato nei casini. Però mi dissi che anche se lo avessero saputo, non sarei mai stato peggio di come mi sentivo in quel momento.

«Nathan?» chiese una voce, dietro di me. La conoscevo, ma non riuscivo a collegare chi fosse, finché non mi girai.
«Eloise. Come...» dissi togliendo gli auricolari.
«Da quando fumi? Perché vuoi morire in questo modo così lento e doloroso?» mi interruppe notando la sigaretta che avevo in mano.
«Credo che non abbia più senso vivere ormai. Tanto vale accelerare i tempi.» le risposi con un tono così privo di emozioni che mi feci imoressione da solo.
«Di che stai parlando? È successo qualcosa? Alison sta male?» mi chiese e sentire pronunciare quel nome fu estremamente doloroso.
Aspirai della nicotina per trattenere le lacrime e poi le risposi.
«Alison è morta. Ventuno giorni fa, oggi.» risposi, mantenendo la stessa atonía.
Si coprì la bocca con una mano. Delle lacrime scesero dai suoi begli occhi verdi.
«Perché non mi hai chiamato? E il funerale? Lo avete già fatto?» mi chiese con la voce che tremava.
«No. Non l'avrebbe voluto. In città non lo sa nessuno a parte me, sua madre, mio zio e te. Quindi non farne parola in giro ti prego.» le chiesi, mentre lei si avvicinava per abbracciarmi.
«Mi dispiace così tanto. Ma si è suicidata? O è stato un'incidente?» mi chiese, mentre la stringevo debolmente al mio petto.
«Si è lasciata morire. È quello che ha scritto nella lettera che ha lasciato quando non l'ho trovata nel letto quando mi sono svegliato.» le spiegai, mentre scioglieva l'abbraccio e si allontanava un po' per via del fumo.
Tirai dalla sigaretta un'ultima volta e poi la schiacciai per terra.
«È terribile, Nathan. Ma sai come mai? Insomma stava male?» domandò ancora.
«Probabilmente era depressa, ma non era solo quello il motivo, c'era sicuramente qualcosa sotto che non ha voluto dirmi. Solo che non lo saprò mai.» risposi, con lo sguardo perso a guardare un punto indefinito davanti a me.
«Dovresti scoprirlo. Devi cercare qualcosa che spieghi tutto. Solo tu puoi farlo perché la conoscevi meglio di tutti.» mi suggerì.
«Per poi... cosa? Sapere la verità? E che me ne faccio se lei non c'è più?» le dissi, rassegnato.
«Serve a mettere in ordine le cose per te. In modo da stare meglio. Se non troverai nulla, andrà bene comunque perché saprai che ci hai provato.» insistette. Allora le concessi che avrei fatto un tentativo.

Camminammo insieme fino a davanti a casa sua perché mi offrii di accompagnarla.
«Grazie di essere venuto con me. Fammi sapere se scopri qualcosa e se hai bisogno del mio aiuto.» mi disse una volta sul portone di casa sua.
«Va bene. Ah, non ti ho nemmeno chiesto come va con te. Ti vedo molto meglio ora...» le dissi prima di andarmene.
«Mi sento bene in effetti. A quanto mi hanno detto, il ciclo del prossimo mese, sarà l'ultimo. Quindi la leucemia ha perso, e io ho vinto.» disse, facendo un piccolo sorriso.
«Sono contento per te, Eloise. Speriamo che sia così, non voglio perdere anche te.» le dissi facendo un goffo tentativo di sorridere.
«Non mi perderai. Sarò qui per te quando ne avrai bisogno. Buona serata, Nathan.» mi disse e aprì il portone, mentre io la salutavo e me ne tornavo nella mia casa triste e silenziosa per continuare a fare quello che facevo prima.

Piangere, fumare e piangere. Non mi restava altro.

Alice Stok
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