7. Bisogno di me

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Avevo passato la notte alla baita. Perché non ero riuscito a dirle di no. La mattina dopo non mi ero svegliato per andare a lavoro e mio zio era incazzato nero con me. Tutta colpa di Alison che mi stava friggendo il cervello. Io la amavo di già e lei no. Faceva schifo come situazione, ma continuavo a sperare che lei capisse cosa provassi veramente quando stavo con lei e che magari valutasse l'idea di ricambiare.
«Ti ho detto che adesso arrivo! Dammi mezz'ora massimo un'ora e sono lì!» insitei al telefono, mentre un Phil infuriato mi sbraitava contro che quella era una giornata importante e che avrei dovuto essere già lì dalle nove. Erano le dieci e un quarto.
«Cominceremo anche senza di te. Pensavo potesse essere una bella esperienza, invece no, magari sei a casa di una tua amichetta che hai fatto felice per tutta la notte. Mi hai davvero deluso.» pronunciò queste parole con rabbia mista a sconfitta perché forse pensava di essere stato troppo buono con me e non avermi dato dei limiti.
«Ti prego, zio, sto arrivando te lo giur...» chiuse la chiamata. Non feci in tempo a replicare. Arrabbiato scagliai il telefono contro il muro, ma non gli successe nulla di grave, era indistruttibile.
«Che succede?» chiese Alison, venendo in pigiama fuori dalla stanza in cui avevamo dormito. E sottolineo dormito.
«Mio zio è incazzato con me. Mi sono svegliato tardi. Ti avevo detto che non potevo restare ieri!» alzai la voce, con le mani sui fianchi. La guardai, le scese una lacrima sulla guancia.
«Scusami. Non volevo farlo. Ma mi sentivo così sola, avevo bisogno di te, Nathan.» si giustificò, prendendomi una mano. Perché anche se ero arrabbiato, non riuscivo a esserlo con lei? Che strano potere magico aveva?
«Non è colpa tua, Alison. Anche io volevo stare con te, non piangere per favore.» le dissi, accarezzandole il viso. Lei si spinse contro la mia mano e poi mi baciò.

Alla fine decisi di non andare a lavoro. Non aveva senso, avrei affrontato più tardi la questione con mio zio. Infondo c'era solo una presentazione di un libro uscito poco prima, di un autore già affermato nella sua carriera, che aveva deciso di presentare la sua opera nel nostro negozio. Sarebbe stata un'occasione per pubblicizzarci e magari avrei potuto fargli leggere quello che scrivevo... ma avevo preferito stare con la ragazza che mi aveva trasportato nel suo mondo con un solo sorriso.
Dove stava lei è tutto possibile, il tempo e lo spazio non esistevano più. Era così che si doveva vivere e lei mi stava insegnando a farlo.
«Ti posso chiedere una cosa?» disse mentre tornavamo indietro. Per tutto il giorno eravamo rimasti in quella casetta di legno e lei mi aveva raccontato un po' di cose su di lei, dell'orfanotrofio, ma non le avevo ancora chiesto perché avesse reagito in quel modo con sua madre.
«Dimmi.» le dissi, fissando il suo orecchino al naso. Le stava da Dio.
«Se tu amassi qualcuno, glielo diresti d'impulso o in un momento speciale?» chiese, lasciandomi sbalordito. Non credevo alle mie orecchie.
«A me piacciono le cose spontanee. Quelle organizzate sembrano finte.» risposi, restando sul vago e coprendo la mia emozione.
«Ah, okay.» disse soltanto e poi tacque. Non disse più nulla fino a che non arrivammo a valle. Ne rimasi sottilmente deluso, ma pensai che magari se lo aspettasse da me.
La riaccompagnai a casa e lei insistette perché io rimanessi a cena da lei, ma le dissi che dovevo tornare a casa per sistemare la faccenda con Phil.
«Domani ti aspetto al solito posto, ti porto da un'altra parte.» disse lei, quando fui sulla porta per andarmene.
«Okay. Finisco alle tre.» risposi e poi le diedi un bacio. Poi un altro e un altro ancora, finché non me ne dovetti andare.

Dopo quel bel momento mi aspettava la guerra a casa e non ero pronto ad affrontarla.

Alice Stok
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