Altro che toccare il cielo con un dito. Io era stato catapultato sulla luna e avevo saltato sfidando la forza di gravità, grazie ad Alison. Non avrei mai immaginato di poter vivere una cosa del genere, talmente travolgente e bella allo stesso tempo da restare intirizziti dai sentimenti.
«Non ti preoccupare se tua mamma dovesse arrabbiarti con te, non lo farà. Sistemerò tutto io. Promesso.» le dissi mentre stavamo distesi, ancora leggermente umidi, sotto quel portico.
«Provaci, tanto quella lì non ascolta nessuno.» mi rispose con disprezzo.
«Non mi pare tanto. Ti ha sentito bene quando le hai detto di andarsene...» le dissi, per cominciare quel discorso che volevo fare da un po'.
«Ha solo imparato a fare quello che le dico quando serve. Poi perché avrebbe voluto aiutarmi? Come se le fregasse qualcosa di me... se mi ha lasciato in affidamento quando sono nata, ci sarà un motivo.» disse, facendosi cupa, mentre fissava il soffitto e strappava delle erbacce che teneva in mano.
«Glielo hai mai chiesto... perché lo ha fatto?» chiesi ancora.
«No, ho paura di quello che potrebbe rispondermi. Però credo sia abbastanza ovvio. Era giovane e non aveva soldi per mantenermi. Però quando l'ho trovata, mi ha riconosciuto e ha deciso di fare la madre comunque. Questo non me lo sono mai spiegata. Avrebbe sempre potuto sbattermi fuori da casa sua e rimandarmi in orfanotrofio. Almeno ora avrei ancora i miei amici. Non so perché a quattordici anni mi sono messa in testa di cercarla.» continuò a raccontare.
«Lo hai fatto perché lo volevi. È stata una decisione matura. Però in questi tipi di decisioni c'è bisogno di rinunciare a qualcosa. Va sempre così.» le dissi, per pura esperienza personale.
«Hai ragione. Ma è un po' che ci stavo pensando su e ho capito che mi manca davvero la mia vita in orfanotrofio. Lì avevo compagnia. Qui ho solo te. Forse ho fatto un errore a venire a cercarla. È anche per questo che sono depressa. Prendo quelle medicine ogni giorno però l'altra volta me le sono dimenticata perché ero troppo stanca per alzarmi ed è successo quel casino.» disse mentre stringeva il suo polso coperto dalla benda.
Ogni volta che ripensavo a quell'episodio vedevo solo il suo sguardo perso e la sua faccia pallida che non sembrava nemmeno la sua.
«Quando ti hanno diagnosticato la depressione? Sei andata da uno psicologo?» le chiesi, cercando di eliminare quell'immagine di lei seduta in cucina cosparsa dalle pillole sul pavimento.
«A sedici anni. È stata la prima volta che mi sono tagliata. Capita spesso che il mio cervello faccia casino con le emozioni e mi ritrovi con una lametta in mano e una ferita sul polso. Non so perché mi succede, non lo hanno ancora capito.» raccontò seria, senza lasciar trasparire le emozioni.
«E vai ancora alle sedute?» chiesi.
«No, non più. Da quando mi ha prescritto le medicine sono migliorata tanto e non ci vado più anche perché me lo dimentico sempre.» disse poi.
«Ma ti sentivi meglio quando parlavi con lo psicologo?»
«Sinceramente? No. Non gli ho mai raccontato i fatti miei. Me ne stavo in silenzio a fissare il vuoto. In base a questo comportamento ha dichiarato che ero depressa e che avevo bisogno di quelle pillole.» disse, guardandomi finalmente.
«Ah... e come mai non lo facevi?»
«Era un completo estraneo a cui dovevo raccontare le mie cose, non era un'idea che mi andava a genio.»
«Ma anche io ero un estraneo, eppure a me hai raccontato tante cose...» le feci notare.
«È diverso. Tu sei tu. Tu non mi studi per poi dare un verdetto su quale problema psicologico io abbia. Mi ascolti e basta e questo mi fa bene.» rispose, aggiungendo un piccolo sorriso. Io ricambiai e mi avvicinai per baciarle la fronte.Restammo in silenzio per un po', semplicemente fissando il tetto del portico sopra di noi, mentre smetteva di piovere.
«E tu?» chiese ad un tratto.
«Io cosa?» non capivo.
«Non mi hai detto praticamente nulla di te.» disse guardandomi.
«Non mi piace molto parlare di me, sei più interessante tu.» sviai l'argomento perché mi costava fatica raccontare della mia vita passata.
«Avanti, cosa sarà mai, ammettilo, sei un supereroe e non me lo hai detto! Oppure un agente in incognito! Oddio e se fossi un'assassino a cui ho appena raccontato molto di me e che progetta di uccidermi nel sonno? Non ci avevo pensato!» scherzò lei alzandosi a sedere, guardandomi vivacemente.
Risi per l'assurdità di quello che stava ipotizzando e decisi di scendere ad un compromesso.
«Facciamo così. Domani vieni con me e io ti racconto di me. È una storia lunga e ci vorrà tempo.» le dissi, sedendomi a mia volta.
«Perché? Dove dobbiamo andare?» chiese dubbiosa.
«Tu vieni con me e lo scoprirai. Vado a prendere la macchina domani mattina e poi partiamo. Ci stai?» proposi.
«Ci sto... ma la macchina non mi piace molto. Si può andare a piedi dove mi vuoi portare?» chiese come avevo previsto.
«No, sarebbe troppo lunga come camminata. Fidati di me, guiderò piano e non farò incidenti, promesso.» le dissi porgendole il mignolo.
«Okay, ma appena provi a farmi scherzi o andare troppo veloce scendo. Anche in corsa, non mi interessa.» disse stringendo il mio dito.
«Sta tranquilla, non accadrà nulla. Ti fidi?» chiesi sorridendo.
«Mi fido.» disse e poi sorrise anche lei.Alice Stok
🔸🔸🔸
STAI LEGGENDO
La curva del sorriso
RomanceUna stupida lettera. Lei aveva già deciso tutto. Se solo io avessi saputo per quale assurdo motivo lei lo voleva fare, l'avrei fermata. Da quando se n'era andata, tutto aveva perso senso. Tutto era vuoto e silenzioso. Era semplicemente andata a mori...