La nostra vita procedeva bene, avevamo in poco tempo trasportato tutto nella casa nuova, io andavo all'università, lei andava a lavoro e tornavamo insieme alle quattro del pomeriggio perché la passavo a prendere.
L'unica cosa che non andava bene erano i suoi scatti di rabbia senza motivo.
Accadevano almeno una volta al giorno e qualche ora dopo era come se non fosse successo nulla.
Il fatto era che dalla sua bocca uscivano cose che non mi sarei mai aspettato.
Per esempio un pomeriggio, mentre eravamo in macchina per andare a vedere un tappeto per il salotto, più carino di quello che avevamo già, la guardai di sfuggita e mi accorsi che piangeva. Le chiesi cosa stesse succedendo e mi ripeté quella frase che aveva già detto, ovvero quella di non avere più tempo. Accostai la macchina immediatamente perché avevo capito che la faccenda era grave.Le presi le mani, ma le tolse come se non mi volesse.
Tentai allora di parlarle e chiederle che cosa intendesse con quella frase, ma iniziò ad urlarmi contro che non la capivo e che comunque non avrei potuto aiutarla perché il suo problema non si poteva risolvere.
Non avevo replicato perché non sapevo cosa dirle o come comportarmi.
Aveva continuato ad urlare nella macchina, mentre io avevo ricominciato a guidare in silenzio. Stavo cercando di essere come una spugna: assorbire senza restare troppo colpito dalle sue parole.
Mi stava facendo male, ma sentivo che non era colpa sua e che magari aveva davvero un problema.
In quel caso si che avrei potuto aiutarla.Infatti il giorno dopo, che era tornata come prima, allegra e sorridente, l'avevo portata dallo psicologo dove mi aveva detto che andava quando aveva sedici anni e la feci visitare.
Come avevo previsto non aveva parlato ed era rimasta in silenzio tutto il tempo. L'unica cosa che mi seppe dire il medico era di controllare che prendesse sempre le sue medicine e che era la depressione a farla agire in quel modo, ma non mi ero accontentato di quella risposta misera.Lei non era depressa, forse all'inizio, ma conoscevo quelli con questa patologia e non si comportavano così. Insomma passava dal gridare al ridere nel giro di pochi minuti, come se il suo cervello mandasse emozioni a caso come e quando pareva a lui.
In questa situazione ci stavo più male io che lei, perché non se ne rendeva nemmeno conto.
Quella volta che mi aveva chiesto di sposarci sulla spiaggia, non era lei, era un'altra a parlare.
Mi aveva detto che la sua convivenza con la sua altra lei era estremamente pesante se non prendeva i farmaci, ma anche se li prendeva regolarmente veniva fuori, dunque qui c'era un problema più grave.Se anche ci fosse stato qualcosa dal punto di vista medico non lo avrei mai capito da solo. Ero appena all'inizio del corso per diventare chirurgo, mi mancava ancora un'intera vita di studi e specializzazione, quindi capire cosa avesse non sarebbe stato semplice.
E se anche lo avessi scoperto, non sarei mai arrivato in tempo.Così andavo avanti a vivere con lei, godendomi i suoi momenti buoni, in cui mi ripetevo quanto la amavo e quanto fossi felice di averla nella mia vita, e sperando che i momenti cattivi passassero in fretta.
Faceva male, ovvio, ma lo facevo per lei ed era un dolore che valeva la pena sopportare.
Alice Stok
🔸🔸🔸
STAI LEGGENDO
La curva del sorriso
RomantizmUna stupida lettera. Lei aveva già deciso tutto. Se solo io avessi saputo per quale assurdo motivo lei lo voleva fare, l'avrei fermata. Da quando se n'era andata, tutto aveva perso senso. Tutto era vuoto e silenzioso. Era semplicemente andata a mori...