17. Lacrime di gioia

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Quando arrivammo a destinazione, parcheggiai la macchina nell'unico posto libero che trovai nella via in cui ci trovavamo e le dissi di scendere. Era rimasta in silenzio per un po' da quando avevamo smesso di cantare e stranamente non mi aveva fatto nemmeno una domanda.
«Dove siamo?» ecco appunto.
«L'altro giorno mentre stavamo guardando Grease mi hai detto che lo guardavi sempre con i tuoi amici dell'orfanotrofio e che ti mancavano e quindi ho pensato che vederli di nuovo dopo sei anni ti avrebbe fatto piacere...» le dissi mentre stava rielaborando quello che le avevo appena detto.
«T-tu hai trovato i miei amici? E mi hai portato su quella... macchina infernale per un'ora intera per farmeli incontrare? Davvero hai fatto questo? Per me?» disse con le lacrime agli occhi. Non se lo aspettava sicuramente.
«Sì, Alison. Li ho contattati e ho chiesto loro di incontrarci qua vicino per fare una specie di rimpatriata. Sei contenta?» le spiegai mentre le si apriva un sorriso enorme sul viso.
Lanciò un urletto e mi abbracciò forte mentre mi mettevo a ridere.
Poi mi diede un bacio a stampo e disse:
«Sarò anche una depressa cronica che ha bisogno delle medicine altrimenti sta male e si taglia, però tu basti a farmi dimenticare tutto questo.» io le sorrisi perché ero davvero contento che lo pensasse.
«Credo di amarti.» le dissi poi.
«Lo credo anch'io. Di amarti, intendo.» rispose, poi la baciai di nuovo.

Pochi minuti dopo stavamo camminando verso la piazza dove avevo dato appuntamento ai suoi amici per incontrarci. Le tenevo la mano e osservavo la sua gonna che frusciava mentre camminava. Lei si guardava intorno e mi scoprì più volte a fissarla. Come potevo non farlo? Era la ragazza più bella che avessi mai visto e l'unica di cui mi fossi mai innamorato sul serio.

Eravamo arrivati: seduta sul bordo di una fontana c'era una ragazza dalla pelle olivastra con una bella chioma scura di dread molto lunghi, che indossava una semplice canottiera nera e dei pantaloni larghi con varie fantasie. Accanto a lei un ragazzo dai capelli scuri, un berretto arancione e una sigaretta fra le labbra. Infine in piedi ne stava un terzo, folta chioma rossa, carnagione chiarissima e viso ben squadrato.
La cosa divertente è che nonostante fossero amici da sempre non si parlavano. Erano in silezio completo, ognuno per i fatti propri.

«Kira! Jason! Isaac! Oddio che bello rivedervi!» esclamò Alison appena lì vide. I tre si illuminarono e le corsero in contro nello stesso momento in cui lo fece lei, lasciandomi la mano.
Guardai la scena da esterno, perché non centravo nulla in quel momento, ma era merito mio se erano qua a vedersi di nuovo.
Ali piangeva dalla felicità e loro sembravano pure commossi, anche se si tenevano tutti a debita distanza. Non capivo quello strano comportamento, chissà cosa era successo in questi anni tra di loro...
«Come stai, Zeta? Hai trovato tua madre alla fine?» le chiese quello che credevo fosse Isaac. Zeta? Cos'era una specie di soprannome?
«Benissimo, Newton. E sì, ho trovato mia madre, ma penso sarebbe stato meglio non cercarla.» rispose lei, tirando fuori un'altro nomigliolo. Ora capivo perché erano amici: erano tutti e quattro molto diversi, ma li accumunava la stranezza ed era una bella cosa da condividere.
«Che intendi dire? Ci hai mollato tutti per trovare la donna che ti ha messo al mondo e ora te ne penti? Mi duole dirlo, ma te l'avevo detto.» rispose Kira, con tono saccente.
«Si si, gongola pure, Raki dei miei stivali, però avevo quattordici anni e non sapevo a cosa andavo incontro, comunque vi racconterò tutto è una storia lunga... tu invece? Red, non dici niente?» disse rivolta a Jason che ancora non aveva aperto bocca.
«Che ti devo dire? Mi sei mancata Zeta minuscola.» rispose lui, abbracciandola.
Per un attimo sentii lo stomaco stringersi, per via di un sentimento viscido e serpentino chiamato gelosia, però poi mi dissi che erano solo amici e che non si vedevano da tantissimo tempo.
«Ah ragazzi, non vi ho presentato Nathan, Nathan loro sono Kira, Jason e Isaac.» mi presentò, anche se li avevo già conosciuti per telefono.
«Piacere.» dissero in coro e strinsi la mano a tutti facendo un sorriso timido.
Mi sentivo leggermente fuori posto, ma loro erano i suoi amici e l'avevo fatta felice facendoglieli incontrare, quindi non contava altro.

Dopo essere rimasti ad ascoltarli parlare e risposto a domande un po' scomode, del tipo state insieme o cosa? che Alison aveva liquidato cambiando argomento, decisero di andare in una caffettiera e raccontarsi un po' di novità sulla loro vita.

Mi toccava fare il quinto incomodo nel gruppo di amici, che avevo riunito io stesso, ma tutto pur di veder Alison sorridere così tanto.

Alice Stok
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