33. Sulle montagne

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Per fortuna il giorno successivo, Alison, stava molto meglio, la frebbre le era passata, il colorito del viso era normale e pareva avere leggermente nausea, ma non doveva vomitare in continuazione.
Ero così contento che finalmente si sentisse bene. Avevo magari paura dei suoi soliti attacchi, ma avevo deciso che sapevo come prenderli ormai.
Non dovevo soffrire più, non era lei in quei momenti, quindi non parlava sul serio.
«Vieni, pigrone, andiamo!» esclamò tirandomi per il braccio mentre camminavamo sullo stesso sentiero che avevamo preso quel giorno in cui mi aveva portato alla Baita.
«Non sono pigro! È una salita allucinante, non sei stanca?» le chiesi con il fiatone.
«No, per niente! Sono più forte di prima! Su, su, su, manca poco dai!» mi disse, sorridendomi, mentre continuava a tirarmi su per la montagna.
Ero davvero sfinito e non avevo idea di come lei non desse segno di cedere.
Le avevo anche proposto di andare in macchina per non farla affaticare, ma aveva rifiutato perché aveva detto di sentirsi abbastanza forte da andare a piedi.
Dovevo prevederlo che mi avrebbe detto di no, ma ormai non aveva più paura della macchina, quindi rimase una domanda senza risposta.
«Eccoci!» disse una volta arrivati. Non mi ero mai sentito così contento di essere giunto a destinazione prima di quel momento.
Continuò a tenermi per mano, mentre andavamo giù per una discesa di erba verde.
Per fortuna si stava bene e non c'era quel caldo tremendo come la prima volta che eravamo saliti quassù.
Ci sedemmo per terra, io sudato ed esausto e lei fresca come un fiore, a guardare il panorama bellissimo.

Mi ricordo che un giorno di quelli in qui delirava per la febbre aveva detto: «Me ne andrò un giorno... appena potrò.» guardandomi negli occhi, mentre la stringevo tra le braccia. Continuava ad essere ancora bellissima nonostante la malattia.
«E dove?» avevo chiesto, incuriosito da quell'affermazione.
«Lì, sulle montagne.» aveva risposto indicando i monti dalla finestra. Io sorrisi e poi le baciai la fronte.
Non avevo capito cosa intendesse, però avevo paura di capirlo quel giorno.

La strinsi tra le braccia, lei sorrideva però era tanto pallida.
All'improvviso sembrava che fosse tornata nella sua bolla di depressione. Eppure aveva una faccia rilassata. Non riuscivo a capire che cosa stesse passando per la sua testa. Era strana, ma non in senso buono, non andava bene per niente la sua stranezza.
«Non te ne andrai vero?» le chiesi, senza fermarmi prima. Mi guardò con tristezza.
«Non te lo posso promettere. Nathan io ti amo, ma ti faccio soffrire. L'ho visto, me ne sono accorta che ci stai male quando ho gli attacchi. Dico cose che non vorrei e faccio del male a te, senza volere. Staresti meglio senza di me.» disse, facendo scendere delle lacrime dai suoi occhi.
Non potevo credere alle mie orecchie. Quello che aveva detto era stato come ricevere un pugno in faccia. Anzi, faceva più male.
«Che stai dicendo? Sul serio Alison, non credo tu sia in te ora... hai idea del fatto che se tu te ne andassi io potrei non vivere più? Davvero, non dire queste cose ti prego.» le dissi, reagendo per la prima volta. Come avevo previsto era caduta di nuovo in depressione. Aveva anche preso le medicine quella mattina.
A quel punto non era una cosa psicologica, ma aveva una cosa concreta e non me lo voleva dire.

Singhiozzò, coprendosi il viso con le mani.
«È per questo che dovrei andarmene. Per non vederti così dipendente da me. Tu avevi una vita prima di conoscermi, l'avrai anche dopo.» mi rispose, dopo aver ripreso fiato.
Mi allontanai da lei, sciogliendo l'abbraccio.
«Tu hai cambiato la mia vita, capisci che dopo di te non potrà mai tornare tutti com'era? E poi, dove vorresti andare? Abbiamo appena comprato una casa...» le dissi, mentre cresceva la rabbia.
«Sarò sulla curva del tuo sorriso.» se ne uscì ad un tratto.
«Che?! Che significa, Alison?» le chiesi esasperato. Lei continuava a piangere, ma ora sorrideva.
«Starò sempre lì, dove le tue labbra formano quell'espressione stupenda sul tuo viso. Ti ricorderai di me e io di te. Andrà tutto bene.» mi disse. Prendendo la mia mano.
«Mi stai lasciando? È un addio questo?» le chiesi con l'affanno e le lacrime agli occhi.
«No, niente affatto. Non ti lascerei mai in questo modo. Voglio solo che tu sappia che anche se non ci sarò, dovrai stare bene anche senza di me.
Okay?» mi disse, accarezzandomi la guancia. Stavo piangendo, perché avevo paura di perderla sul serio.
«Okay. Io ti amo così tanto, Alison.» parlai con la voce che tremava, mentre le baciavo la mano che mi aveva offerto.
«Anche io, Nathan. Così tanto.» rispose e poi mi baciò.

Cercai di non badare al fatto che quel bacio sapesse tanto di essere l'ultimo e decisi che non l'avrei lasciata andare per nessun motivo al mondo.

Alice Stok
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La curva del sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora