4. Necessità di vedersi

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Mi svegliai sull'erba umida, con Alison sul mio petto. Il sole batteva su di noi e faceva più caldo della sera prima perché era pur sempre luglio, ma stavo bene, perché c'era lei che mi stringeva come fossi un peluche. Si era addormentata mentre insieme contavamo le stelle nel cielo, l'avevo accarezzata tutto il tempo e avevo sentito il suo respiro leggero e costante sulla pelle del mio braccio. Dopo quel bacio ce n'erano stati altri, in crescendo di passione. Il primo era stato una prova, perché lei mi aveva poi confessato di non aver mai baciato nessuno e che non sapesse come fare, così la invitai a lasciarsi andare e a seguire il suo istinto. Una volta mi morse la lingua e si ritirò imbarazzata, però ci risi su perché mi sembrava solo impacciata e la potevo capire. Ci ero passato anche io per quella fase con la mia prima fidanzata. Lei sapeva già tutto, mentre io vivevo ancora tra le nuvole e di solito è il contrario.
«Buongiorno, Than» disse lei, destandosi e facendo un lungo sbadiglio. Era incredibile che fosse bella anche di mattina appena sveglia. «Ben svegliata, Alison.» risposi e poi cercai le sue labbra, per salutarla per bene. Appena ci staccammo la vidi arrossire e mordersi un labbro.
«Ho voglia di pizza.» disse poi, facendomi ridere.
«A quest'ora?» chiesi, mentre lei fissava la luce abbagliante con gli occhi stretti.
«Credo sia mezzogiorno, in base alla posizione del sole. È ora di pranzo.» affermò lei, mettendo una mano sulla fronte per coprirsi la vista.
«Conosco io un posto, ti va?» proposi e lei annuì, contenta.
Allora ci alzammo e per mano raggiungemmo il centro a piedi ed entrammo in una piccola pizzeria dove lavorava un amico di mio zio Phil. Lo salutai con una stretta di amichevole e lui fu ben felice di offrirci un tavolo e una pizza calda, della casa.
Mangiammo di gusto perché avevamo entrambi saltato la colazione e nel frattempo ridemmo e scherzammo su tutto. Venne però anche il momento di andarsene perché io avevo un impegno con dei parenti e lei voleva tornare a casa per farsi una doccia e poi mettersi a leggere un libro che aveva comprato nel negozio di mio zio, da me consigliatole.
Si chiamava La solitudine dei numeri primi e a me aveva lasciato un segno quando l'avevo letto. Parlava di un amore silenzioso e condiviso da i due protagonisti che, nonostante avessero intrapreso vite diverse, si erano rincontrati, ma anche in quel caso si erano trattenuti dall'esplicitare i loro sentimenti.
Quando lo avevo finito mi aveva lasciato così, smarrito, perché non aveva una vera e propria fine, ma non c'era nemmeno la continuazione. Si sospendeva ad un certo punto, lasciando l'amaro di un nervoso di tutta la lettura convulsamente volta al termine. L'avevo odiato e amato quel libro e ogni volta che lo avevo riletto mi era parso sempre più profondo. Mi faceva incazzare sempre la fine, eppure continuavo a ricominciarlo da capo.

«Quindi... ci rivediamo vero?» mi chiese una volta nel punto di ritrovo della sera prima.
«Certo. Saremmo dei maleducati a non farlo. Domani? Ti porto a cena fuori, okay?» la invitai, guardandola negli occhi.
«Certo, con piacere.» disse lei e poi mi avvicinai per darle un bacio. Intrecciai le mie dita alle sue e lei sorrise sulla mia bocca.
«A domani.» disse lei.
«A domani.» risposi, rubandole ancora un bacio. Poi ci allontanammo e sentii subito la sua mancanza.

Che razza di sentimento, l'amore!

Alice Stok
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La curva del sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora