18. Scusami, ma è importante

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L'aria era tesa tra loro, si vedeva da lontano un chilometro. Alison lo percepiva anche secondo me, perché si era trovata più volte senza sapere cosa dire.
Si erano pure seduti l'uno a distanza dall'altro, come se si potessero trasmettere una malattia contagiosa.
«Quindi? Non mi raccontate nulla? Avete avuto delle vite così noiose che non ha senso dirmi nulla?» chiese lei ad un tratto, non trovando più nulla di cui poter conversare con loro.
«No... è stato uno schifo senza di te, Zeta.» rispose Isaaq sembrando davvero poco convinto. Io non gli credevo ma non stava a me giudicare.
«Dai, Newton, fai schifo a mentire, sparate! Cosa è successo? Sembrate strani...» insistette lei e vidi Jackson raddrizzarsi sulla sedia.
Ci fu silenzio per i seguenti tre minuti, poi Kira si alzò dal tavolo, con la scusa di andare in bagno. Isaaq la seguì senza dire nulla e restammo solo in tre. Non ci capivo nulla e sembrava che per Alison fosse lo stesso.
«Red... che succede?» chiese lei, prendendo la sua mano.
Lui la guardò con la paura negli occhi e appena provò ad aprir bocca, ricomparve Kira, con gli occhi rossi come se avesse pianto e l'altro ragazzo che la confortava con una mano sulla spalla.
«Non dirle niente, glielo racconto io, non sei affidabile tu.» rispose lei, velenosa, poi guardò me. «Nathan, per favore, puoi lasciarci soli un momento?» mi chiese allegerendo il tono.
«Certo nessun problema, aspetto qua fuori.» dissi e mi alzai, poi uscii dal bar.

Chissà cosa avevano di tanto segreto da dirsi. Avrei voluto essere una piccola mosca per sentire. Però allo stesso tempo mi sarei sentito uno stupido perché non avevo il diritto di sentire le loro conversazioni.
Così mi limitai a guardarli dalla vetrina senza farmi vedere troppo.

Vidi Kira che piangeva di nuovo, Jackson che se ne stava a sguardo basso, mentre Isaaq abbracciava la mora.
Alison scosse la testa e si mise una mano davanti alla bocca per la sorpresa. Però non riuscivo a vederla bene da dove stavo.
Poi tutti e quattro si alzarono e venirono verso l'uscita, allora mi allontanai un po' dalla porta e uscirono poco dopo.

«Than, noi dobbiamo parlare in un altro posto, scusami se ti lascio da solo, ma è importante.» mi disse Alison venendo vicino a me. Mi baciò sulle labbra di sfuggita e poi se ne andò seguendo gli altri.
«Ma cosa faccio nel frattempo?» le urlai dietro.
«Fai un giro! Se non sarò di ritorno entro questa sera puoi tornare a casa, tanto ti posso chiamare! Scusami ancora, ti amo!» urlò lei in risposta e poi continuò a camminare.
Per un attimo mi trovai a sorridere perché aveva ripetuto che mi amava, ma poi realizzai che ero rimasto da solo in una città che non conoscevo senza nulla da fare.

Tra l'altro, dopo venti minuti in cui avevo camminato a zonzo per la città, già stufo della mia tenporanea solitudine, mi accorsi che stava squillando un cellulare e non era il mio. Infatti era quello di Alison: sul display si leggeva il nome Moira e nient'altro.
Decisi di rispondere. In ogni caso, cosa sarebbe potuto succedere?

«Pronto?» dissi comunque titubante.
«Chi parla?» chiese di rimando.
«Sono Nathan, ci siamo visti qualche volta a casa di Alison.» le spiegai.
«Sì, mi ricordo. Puoi passarmi mia figlia per favore?» chiese, pronunciando quelle due parole che mi fecero venire i brividi.
«Non è con me al momento, ha solo dimenticato il telefono nella mia giacca quando siamo usciti.» inventai una scusa che poteva essere credibile.
«Ah, e dov'è ora? A casa non c'è.» mi chiese con un tono più duro. Sembrava fosse arrabbiata.
«Credo che avesse detto di voler fare un giro da sola, ha detto che tornerà verso sera.» continuai a mentire e stranamente non mi veniva così male.
«Splendido, allora la aspetto a casa.» disse lei e poi chiuse la chiamata senza nemmeno lasciarmi ribattere.

Rimisi il telefono in tasca e pregai che Alison non facesse stupidaggini. Sarebbe dovuta tornare a casa altrimenti la mia scusa sarebbe crollata.
In più mi stava assalendo la preoccupazione del fatto che forse mio zio avrebbe potuto parlare con Moira e averle detto che io sapevo tutto di loro.
Avrei voluto chiamarlo e chiederglielo, ma mi ricordai poi che l'ultima volta che lo avevo visto non era finita bene e che le chiamate che mi aveva lasciato in segreteria probabilmente erano per scusarsi per quello che aveva fatto, e tutto ciò stava a significare che avrei solo dovuto aspettare e sperare che Alison tornasse entro sera.

Mentre io camminavo come un cretino intorno allo stesso edificio, aspettandola.

Alice Stok
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