3. Notte per stare svegli

35 8 15
                                    

Alle tre di notte in punto mi feci trovare davanti al luogo prestabilito e lei era già lì ad aspettarmi. Aveva i capelli raccolti in una crocchia disordinata, un pigiama rosa con delle nuvolette, una felpa nera con il cappuccio e delle ciabatte dello stesso colore.
«Ehi! Ti va un caffè?» scherzò quando mi vide arrivare.
«Volentieri.» risposi e sorrisi. Mi accompagnò a casa sua che era situata poco lontano da lì e poi su per le scale del condominio rurale e infine aprì la porta del suo appartamento. Era piccolo e accogliente, abbastanza ordinato anche se non dentro i miei standard. Un divano viola scuro troneggiava il salotto, le pareti erano color crema, i mobili marroni antichi, con delle venature chiare occupavano quasi tutte le pareti e una tivù con il tubo catodico, umilmente, imperiava su un mobile di fronte al divano.
«È bello qui.» dissi, guardandomi intorno.
«Sì... mia madre ha gusto nell'arredamento.» commentò lei, mentre si avviava in cucina per preparare il caffè. Forse era la cosa più strana che avessi mai fatto.
«Vive qui anche lei?» chiesi, mentre la raggiungevo.
«No, nell'appartamento accanto. Ce lo aveva lasciato la nonna e dato che lei ogni tanto va a letto con degli uomini, non voleva essere invadente nella mia vita in quel senso, così mi ha lasciato questo posto tutto per me.» raccontò, mentre dosava la polvere scura dentro la caffettiera.
«Hai un buon rapporto con lei?» chiesi, senza riuscire a frenare la curiosità.
«Non ci parliamo molto. Le solite cazzate quando ci vediamo sul pianerottolo, niente di più... non ha mai tenuto veramente a me.» disse con un velo di malinconia che le ricadeva sulle spalle. A parte le sue stranezze, Alison, sembrava una ragazza che aveva sofferto e che probabilmente soffriva ancora molto.
«E perché? Se posso chiederlo.» cercai di essere indiscreto.
«È rimasta incinta a diciassette anni, dopo una notte brava in discoteca. Voleva abortire perché non sapeva nemmeno chi fosse il padre, ma non ce l'ha fatta quando è arrivata in ospedale. Mi ha tenuto e quando ha partorito mi ha lasciato in adozione. A quattordici anni ho deciso di cercarla e l'ho trovata. Lei mi ha riconosciuta ma ha deciso di rimanere sempre molto distaccata, per non crearmi problemi.» spiegò lei, anche se non le avevo chiesto nulla di specifico. La sua storia era triste, e in un certo senso mi dispiaceva molto per lei, ma sapevo che chi soffriva, la maggior parte delle volte non voleva essere compatito.
«Com'è stato vivere senza un padre e una madre?» le chiesi ancora.
«Meglio. Se avessi avuto dei genitori come quelli che mi hanno messo al mondo, non sarei di certo qui a raccontartelo.» disse con asprezza. Non commentai oltre perché non sapevo cosa dire. Il caffè era ormai pronto e gorgogliava sul fornello.
Lei lo servì in due tazzine, mi chiese quanto zucchero volessi e poi mi porse la bevanda fumante.
«Grazie.» le dissi e lei mi sorrise, mentre se ne stava appoggiata al bancone del cucinino e io di fronte a lei seduto su una sedia marrone anch'essa.
«Com'è?» mi chiese mentre sorseggiavo il mio caffè. Mi resi conto che era veramente buono.
«Ottimo. Davvero, avevi ragione: gustato di notte fa tutto un altro effetto.» mi complimentai mentre lei ridacchiava. Non sapevo come facesse a sorridere dopo le cose che mi aveva raccontato. Era davvero forte e probabilmente ci aveva fatto la corazza sotto questo punto di vista, ma restava il fatto che fosse follemente bella.

Quando finimmo di consumare dalle nostre tazzine, lei le lavò sotto il rubinetto e le mise ad asciugare nello scolapiatti. Poi mi chiese:
«Vuoi rendere questa notte ancora più bella?» non avevo assolutamente idea di cosa volesse dire con quella frase.
«In che senso?» domandai a mia volta.
«Ti porto in un posto, aspetta solo che mi cambio.» tagliò corto e poi si ritirò nella sua stanza. Ne uscì poco dopo con un paio di jeans e delle scarpe da ginnastica al posto del pigiama e senza dire nulla, la seguii fuori di casa.
Per la seconda volta in quel giorno mi prese per mano e camminammo insieme, fianco a fianco, su una stradina ghiaiosa che scricchiolava sotto i nostri passi. C'era silenzio, anche tra di noi, ma non era fastidioso, era rilassante.
Si sentivano le cicale in lontananza che suonavano una monotona melodia, le luci delle case erano già spente da un po' e il buio ci avvolgeva. Non sapevo che ore fossero, ma non mi importava, stranamente. Il giorno dopo sarebbe stato sabato, dunque non aveva alcuna importanza. Dopo un po', arrivammo su una specie di collinetta che dava la vista su tutta la città e ci sedemmo sull'erba umida di rugiada.
«Vengo sempre qui, per guardare le stelle, quando sono triste.» disse lei, guardando il cielo. Si vedevano tutte le costellazioni molto più chiaramente da là e non ci avevo mai fatto veramente caso.
«È stupendo. Io non ci sono mai venuto.» confessai, posando lo sguardo su di lei che stava col naso all'insù.
«La vuoi vedere una cosa?» chiese, scoprendomi a fissarla. Annuii e lei si alzò, per cogliere due soffioni a qualche metro da noi. Fece attenzione che non perdessero semi e me ne diede uno. Poi tirò fuori un accendino dalla tasca e diede fuoco alla testa del fiore. Lo stesso con il mio, e ci trovammo con una versione molto particolare di bengala.
«Ora non saremo più al buio.» affermò e soffiò sulla punta della piantina in fiamme. Tutti i semini brucianti si sparsero in ogni dove, andandosi a spegnere sull'erba umida dove eravamo seduti. Io feci la stessa cosa e alla fine si spense anche il mio.
«Come facciamo adesso?» chiesi, appoggiando lo stelo accanto a me, mentre lei ci stava giocando.
«Non importa, preferisco l'oscurità. Si vedono molte meno cose.» rispose, di nuovo malinconica, per poi guardarmi dritto negli occhi. Non osai spostare lo sguardo perché mi aveva catturato con le sue pupille nere che si fondevano alle iridi. Involontariamente, mi stavo avvicinando a lei e per lei era lo stesso. Era seria, non rideva, ma mi attirava sempre di più a sé.
«Voglio baciarti.» disse, sorprendendomi, ma non mi spostai di una virgola.
«Anche io.» risposi d'impulso e poi mi trovai le sue labbra inesperte sulle mie. Non avevo mai atteso così tanto un bacio.

Alice Stok
🔸🔸🔸

La curva del sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora