20. La fine del tunnel

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Sentii una mano morbida sulla guancia, poi alcune voci confuse. Mi sentivo strano, come quando ti svegli e ti sembra di di aver dormito per anni, ma in realtà sono passate solo dieci ore. Eppure facevo molta fatica ad alzare le palpebre. Ero tremendamente stanco.

Combattei contro la voglia di continuare a dormire e aprii gli occhi leggermente e una luce artificiale mi trafisse la vista costringendomi a strizzarli.
Immediatamente sentii un getto d'aria dritto in gola e iniziai a tossire perché volevo respirare da solo.
«Oh grazie a Dio! Nathan! Infermiera, si è svegliato!» subito riconobbi la voce di mio zio. Incredibilmente fui felice di saperlo accanto a me.
Subito una signora in camice verde chiaro mi tolse il tubo che avevo in gola e iniziai inspirare alla ricerca di ossigeno. Fu quasi uno shock riprendere ad usare i miei polmoni, ma dopo poco mi abituai e fu bellissimo.
«Figliolo, come ti senti? Ti fa male la testa? La cicatrice? Vuoi dell'acqua?» mi chiese immediatamente. Aveva gli occhi lucidi e un sorriso sincero sul volto. Il naso era ancora un po' viola e coperto solo da un tutore bianco. Era sempre mio zio e, anche se mi costava ammetterlo, mi era mancato.
Feci cenno di si con la testa perché avevo la gola troppo secca per parlare e lui mi porse una bottiglietta con la cannuccia.
Bevvi quasi metà, poi mi bagnai le labbra con la lingua. Faceva uno strano effetto. Era tutto molto strano a dire il vero, come se mi trovassi in un corpo non mio.
«Dov'è Alison?» chiesi poi.
«Non lo sappiamo, sono due settimane che non si fa sentire. Moira mi ha chiamato e ha detto di aver parlato con te di lei, ma poi non ha mai risposto al cellulare.» mi rispose, senza togliere la sua mano dalla mia.
Un attimo: due settimane?! pensai rendendomi conto di quello che aveva detto.
«Due settimane? Ma cosa mi è successo?» chiesi perché davvero non me lo ricordavo. Avevo presente solo il momento dell'incidente e che avevo parlato con una certa Eloise dopo essermi svegliato... ma poi? Perché era passato così tanto tempo? E la mia macchina?! Oddio la mia piccola...
«La ragazza che ti ha soccorso ha chiamato il mio numero e mi ha raccontato che avevi avuto un'incidente in macchina e che ti eri svegliato. Ma poi ha detto che sei andato in arresto cardiaco dovuto al contraccolpo e hanno provato a rianimarti, ma non ci sono riusciti, così sei entrato in coma... per due settimane. Però ti sei risvegliato ed è questo che conta.» mi disse, avvicinandosi un po' con la sedia.

Non sapevo cosa rispondere e forse non avrei dovuto farlo. Non c'era nulla da dire, la verità era quella: ero appena uscito dal tunnel del coma. Ricordo di aver visto anche la luce infondo, ma non ci sono entrato per fortuna.
Così una lacrima scese sulla mia guancia, senza che la potessi controllare, anche perché non ne avevo la forza, e quella fu l'unico sfogo che ebbi.
Non parlai più, accennai solo con la testa alle domande che mi faceva Phil, e nient'altro.

Quando se ne dovette andare perché l'orario di visita era terminato, e l'infermiera mi ebbe fatto tutte le visite necessarie, restai nella mia stanza da solo.
Fissavo il nulla, senza pensare a nulla. Avevo paura di addormentarmi e ne avevo tutte le ragioni.
Allora mossi le dita delle mani ritmicamente sul materasso. Poi quelle dei piedi per sentire se ce le avessi ancora e a quanto pareva era tutto apposto.
Però mancava una cosa: Alison.

Presi il telefono in mano e vedi se c'erano chiamate da parte sua o dei suoi amici. E ce n'erano parecchie. Erano due settimane che non controllavo il telefono. Due settimane che non vedevo la ragazza che amavo. Due settimane che non toccavo le sue labbra. Due settimane che stavo senza di lei.

Fu meglio che me ne accorsi una volta uscito dal coma, perché a saperla lontana e non lì vicino al mio letto, mi avrebbe condotto sicuramente verso la luce e non sarei più tornato indietro.

Alice Stok
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La curva del sorrisoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora