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Park Jimin firmò l'ultima consegna del giorno, salutò gli altri studenti, ed andò a cambiarsi nel nuovo spogliatoio, o sgabuzzino, come lo etichettava lui. Ammassi di ferraglia erano stipati dentro pochi metri quadri di stanza, era impossibile aprire l'anta del proprio armadietto senza colpire un collega.

Era riuscito a trovare un lavoro in una piccola clinica nel centro di Busan, aveva bisogno di tornare a contatto con i pazienti, ma nulla era paragonabile all'esperienza che aveva vissuto al Seoul National University Hospital. Per quanto avesse iniziato ad odiare quel posto, aveva compreso che il loro piano di studi era impeccabile, il migliore a cui uno specializzando di medicina potesse aspirare.

Si liberò del camicie e della divisa nuova, un color magenta che lo ripugnava, ma che dicevano fosse utile per simpatizzare con i pazienti. Indossò un maglioncino a collo alto, un paio di jeans scuri, i guanti, il cappello, e dopo aver chiuso la zip del piumino, uscì.

Detestava l'inverno, il freddo della sua città, che si mescolava con il vento gelido proveniente dal mare, era insopportabile, non importava quanto si coprisse, era impossibile fermarlo. Entrò in strada, la sera stava calando, ormai le giornate erano sempre più brevi, ed il sole timidamente si era già andato a nascondere dietro l'orizzonte. Si portò le mani nelle tasche, e si avviò verso casa.

Le vie erano invase dai giovani, che si divertivano ad urlare e a bere, forse ciascuna era la conseguenza dell'altra. I palazzi alti con insegne al neon illuminavano tutti i quartieri, sicché era impossibile cercare di nascondersi dalla mondanità per qualche istante. I negozi erano pieni di saldi, scritte gigantesche ricordavano al dottore che l'indomani sarebbe stato natale, e che non aveva nessuno con cui trascorrerlo.

Le coppiette entravano ed uscivano felici dai negozi, tenendosi mano nella mano, e scambiandosi a volte delle tenere effusioni.

A Jimin mancava maledettamente Jungkook.

Gli mancava il suo tocco, il suo profumo, le sue espressioni confuse, ed il suo sorriso, che solo pochi avevano avuto la fortuna di ammirare. Sognava ogni tanto la possibilità di una vita normale con lui, lontano dalla malattia e dagli ospedali. Si immaginava gite fuori porta, delle camminate immerse nel verde, dove si sarebbero sicuramente persi, ma avrebbero trovato una soluzione, insieme.

Jimin si lasciò sfuggire un sorriso prima di girare la chiave nella serratura, ed entrare in casa. Un odore soave gli invase le narici, facendogli venire l'acquolina in bocca. Si precipitò in cucina, notando Jin destreggiare tra i fornelli

" sto preparando la cena"

" grazie hyung"

" vatti a cambiare e poi torna, muoviti che ho fame"

Jimin accettò l'ordine senza discutere, e si diresse in camera sua. Ormai era un mese che viveva con il suo ex capo specializzando, avevano deciso di unirsi nella sventura, e così il più piccolo lo aveva ospitato a casa sua a Busan, dopotutto glielo doveva, gli aveva distrutto la macchina, ed aveva contribuito al suo licenziamento. Da poco più di una settimana erano rimasti soli, suo nonno era deceduto, lasciandogli tutti i suoi averi, tra cui la casa.

Si tolse in fretta i vestiti, cercando di non cedere alla tristezza, ed indossò il pigiama, una felpa che aveva rubato a Jungkook prima di andarsene da Seoul, e che glielo faceva sentire un po' più vicino, accompagnata da una tuta da ginnastica.

Tornò in cucina, e ringraziò il suo hyung non appena vide la tavola imbandita di squisitezze. Prese posto, ed iniziò ad abbuffarsi, buttandosi immediatamente sulla carne appena cotta

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