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Erano passati un paio di giorni da quando Jimin aveva parlato con i suoi amici, e nonostante nessuno avesse più detto nulla su quella notte, il cuore del giovane dottore si sentiva terribilmente in colpa. Era caduto vittima della frustrazione, della stanchezza, e delle debolezze. Aveva cercato più volte di affrontare il discorso, ma i suoi amici lo avevano fermato prima che potesse entrare nel sentimentale.

Era stato uno stupido.

Era fortunato ad avere degli amici con un'immensa bontà, che lo avevano perdonato ancor prima che lui potesse chiedere scusa per il suo comportamento cinico. Nessuno lo aveva incolpato, tutti erano stati fin troppo gentili, gli avevano sorriso, e lo avevano assecondato in ogni sua richiesta.

"sono fin troppo strani" disse ad alta voce

Si alzò dal letto, ed iniziò a girare nella sua camera singola in cerchio, senza motivo, e senza un'apparente via di fuga. Si affacciò alla finestra, osservando le decine di persone sotto i suoi piedi muoversi rapidamente. Il cielo era plumbeo, e nell'aria svolazzava un odore di pioggia. Jimin inspirò con forza, cercando di schiarirsi le idee, che lo avevano oppresso in quelle notti precedenti.

Taehyung era di nuovo malato.

I genitori di Jungkook erano tornati, e ancora non ne conosceva il motivo.

Si sentiva tremendamente incapace di mantenere le aspettative del mondo, e dei suoi amici.

Il suo fidanzato non lo era ancora andato a trovare.

Jimin sospirò, troppi problemi a cui pensare, e tutte spiegazioni estremamente complicate da raggiungere. Quale avrebbe dovuto affrontare per primo? Avrebbe davvero trovato una soluzione a tutte quelle minacce che continuamente destabilizzavano la sua felicità?

Si massaggiò con delicatezza le tempie, cercando di controllare il panico, che inesorabile era tornato a presentarsi nel suo petto. Non aveva più intenzione di svenire, e non aveva più intenzione di cedere alle sue debolezze. Si osservò la mano destra, ancora fasciata da una garza limpida, e sorrise timidamente.

Quella era l'unica cosa che gli era rimasta, la chirurgia.

Il suo cuore, leggermente sollevato per quella consapevolezza ritrovata, cominciò a battere su un ritmo regolare, sobbalzando di tanto in tanto, mentre immaginava il suo futuro roseo da primario di neurochirurgia.

La giornata passò lentamente, ora capiva a che vita erano costretti i pazienti ricoverati in ospedale, sempre nella stessa stanza, a contatto con le stesse persone, e incapaci di fare molto.

Assaggiò il suo pranzo ospedaliero, riso in bianco, petto di pollo con purè di patate, e per dessert una mela. Il dottore lasciò quasi tutto, il digiuno era meglio di quelle pietanze prive di sale, e di sapore. Si cambiò il pigiama con degli indumenti personali, sentendosi leggermente più fresco, e aspettò che la flebo finisse, prima di togliersela.

Si affacciò dalla camera, e notò con suo grande sollievo che le corsie erano praticamente deserte. Nell'ora di pranzo la maggior parte degli infermieri si ritirava nelle loro stanze per consumare il pasto, o semplicemente per riposarsi un po', visto che era orario di visite, e la maggior parte dei pazienti non faceva alcuna richiesta.

Sgattaiolò fuori di soppiatto, e non appena raggiunse l'ascensore, si asciugò il sudore dalla fronte. Premette i pulsanti a caso, non sapendo ancora dove andare, ma alla fine decise per la terrazza, aveva bisogno di un cambio d'aria.

Si accoccolò tra le sue stesse braccia una volta fuori, il freddo della fine dell'inverno era pungente, e fastidioso. Si avvicinò al muretto, e rimase a fissare l'orizzonte. Il sole era completamente scomparso dietro le nuvole, il temporale era prossimo, ed il vento aveva iniziato a soffiare prepotentemente.

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