capitolo 36

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Meno di dieci minuti più tardi, la prima persona bussò alla porta. “Buonasera, Severus,” disse Minerva in tono calmo, superandolo per entrare nella stanza.
“Entra pure,” disse Piton, sarcastico, preparandosi per quella che era certo sarebbe stata una rumorosa tirata.
“Confido che tu abbia spiegato al signor Potter i suoi sbagli?” chiese lei.
“Invero.”
“Ed è ancora più o meno integro?” proseguì lei.
Severus alzò gli occhi al cielo. “Potter! Rassicura il Capo della tua Casa sul fatto che sei ancora nel mondo dei vivi,” chiamò.
“Salve, professoressa McGranitt.” La replica scivolò fuori dalla camera da letto dietro di lui e giunse – Piton fu piacevolmente sorpreso nel scoprirlo – in un tono di profonda malinconia.
La McGranitt annuì bruscamente. “Bel lavoro, Severus.”
Piton strabuzzò gli occhi. “Chiedo scusa?” riuscì a boccheggiare.
“La tua reazione ha reso estremamente improbabile che qualche altro studente sia così sciocco da emulare lo scherzo del signor Potter,” spiegò lei. “Certo non possiamo permettere che gli studenti volino attraverso le sale su manici di scopa. Ora, dunque,” cambiò discorso lei, mentre Piton stava ancora sbattendo le palpebre, sorpreso, “riguardo alla punizione del signor Potter...”
Ah. Bene. A questo era preparato. “Dal momento che gli altri piccoli idioti non riescono ovviamente a resistere al pensiero di provocare Il Ragazzo Che E' Sopravvissuto,” disse Piton, con il sarcasmo che sgocciolava dal titolo, “e che Potter è troppo orgoglioso per ignorare una sfida, non rientrerà nel suo dormitorio fino a quando il suo comportamento non migliorerà.”
“Sì, sì,” Minerva agitò una mano in un gesto impaziente. “Non sono qui per quello.”
“No?” Piton si interruppe a metà della sua tirata. “Oh. Be', se sei qui per il modo in cui ho gestito Potter nella Sala Grande,” riprese lui, recuperando un tono belligerante.
“Severus, cerca di concentrarti,” La McGranitt suonava esasperata. “Certo non ho intenzione di interferire tra un genitore e suo figlio per via di un unico, ben meritato scapaccione sul posteriore.”
Piton scosse la testa, cercando di schiarirsi le orecchie. Certo non poteva aver sentito la McGranitt dire quel che pensava che lei avesse detto.
“No, sono qui per qualcosa di importante.” Lei lo adocchiò con aria significativa. Di fronte alla sua occhiata di assoluta confusione, lei sospirò. “La sua scopa, Severus. Per quanto a lungo l'hai confiscata?”
Piton riuscì a non sbuffare. Non avrebbe giovato alla sua immagine. “Quidditch.” Davvero, avrebbe dovuto capirlo.
“Esattamente,” annuì lei, compiaciuta dal fatto che lui avesse finalmente afferrato la cosa. “Come Capo della Casa di Harry, devo insistere che, se è stato rimosso dal suo dormitorio, gli sia permesso di continuare a giocare a Quidditch come un modo per mantenere i suoi legami con Grifondoro.”
“E la partita in arrivo contro Corvonero non ha niente a che vedere con questo,” osservò Piton, asciuttamente.
La McGranitt si limitò ad inarcare un sopracciglio. “Dunque?”
“Oh, d'accordo,” Piton si arrese con poca grazia. Non era come se avesse voglia di venire infastidito dal piccolo disgraziato mentre questi teneva il muso nelle sue stanze, piagnucolando perché si stava perdendo le partite e gemendo perché voleva indietro la sua scopa. Entrambi i professori ignorarono il grido soffocato d'esultanza dalla camera da letto sul retro. “Gli permetterò anche di seguire le lezioni e di consumare i suoi pasti insieme agli altri studenti, ma non deve entrare nella Torre finché non dimostra di essersi veramente pentito delle sue azioni.”
La McGranitt annuì una volta, risolutamente. “Capisco. Buonanotte, signor Potter,” chiamò lei, mentre si muoveva verso la porta.
“Buonanotte, professoressa!” rispose Harry, la sua voce significativamente più allegra di quanto non lo fosse stata prima. Piton sbuffò infastidito.
Entro breve, Silente, Vitious ed Hagrid erano passati uno alla volta, spronando Piton ad essere pietoso verso il furfantello. Con grande sorpresa di Piton, Silente non cercò di discutere con lui sulla questione della punizione, ma incoraggiò Severus a “dare al giovane Harry cose da fare per mostrare che sta guadagnandosi la tua fiducia, ragazzo mio, e di conseguenza guadagnandosi la via del ritorno dagli amici nella sua Casa.” Piton aveva acconsentito di malavoglia a questo – no c'era ragione per non farlo, e serviva a fare contento il Preside.
Non appena la parata degli insegnanti ebbe termine, quella degli studenti iniziò. Poco sorprendentemente, Ron ed Hermione furono i primi.
“Ehm, salve, Professore,” Ron deglutì a vuoto, studiando la sua espressione sardonica. “Noi – uh – pensavamo solo... be'...”
“Volevamo solo essere sicuri che lei ed Harry steste bene,” intervenne Hermione rapidamente.
Piton ghignò. Almeno la so-tutto-io aveva il cervello di fingere di essere preoccupata per entrambi. “Il vostro compagno di classe non sta venendo torturato sul cavalletto, se è questo che state chiedendo.”
Hermione arrossì. “Non abbiamo mai pensato fosse così, professore,” protestò lei, suonando poco convincente. “Noi – noi eravamo solo preoccupati. Per entrambi,” insisté.
Piton alzò gli occhi al cielo. Non si sarebbe mai liberato di loro fino a quando Potter non avesse dimostrato di non essere stato picchiato fino a perdere i sensi. “Potter! Rassicura i tuoi amici.”
“Sono a posto, ragazzi,” giunse la pietosa risposta dalla camera da letto. “S-sul serio...” Piton era impressionato. Quello era quasi suonato come un singhiozzo strozzato.
“Quello è stato davvero volare di prima classe, amico!” Ron non riuscì a trattenersi al suono della voce di Harry. “L'intera squadra è gelosa da morire e quell'ultima picchiata sopra ai Tassi è stata fantastica! Tu – OHI!” La voce di Ron si interruppe con uno strillo mentre una Hermione dall'espressione feroce gli assestava un pugno feroce nel braccio.
Di fronte al grido di dolore del suo migliore amico, Harry uscì alla carica fuori dalla sua stanza, sospettando il peggio. “Pa'! L'hai appena schiaffeggiato?” domandò, accalorandosi.
Si bloccò di scatto quando vide Ron massaggiarsi il braccio, non il sedere: ma, prima che potesse dire qualunque altra cosa, Hermione aveva eruttato come il Vesuvio. “Harry James Potter! Che cosa ti è passato per la testa?! Hai perso il cervello? Che razza di bravata idiota era quella? Accettare una sfida? Hai cinque anni o cosa? Come hai potuto -” urlò lei, avanzando verso di lui.
Gli occhi di Harry si spalancarono per la paura e lui barcollò all'indietro. “Her-Hermione! Sono in p-punizione! Non posso parlare con te!” Si interruppe con un verso gracchiante quando la mano di lei scattò e gli afferrò la camicia.
“Ascoltami bene, Harry Potter!” sbottò lei, suonando terrificante quasi quanto il suo tutore. “Se MAI rifarai qualcosa del genere, ti ucciderò!”
Harry inghiottì a vuoto ed annuì vigorosamente. Dopo un'ultima occhiataccia, Hermione lo lasciò andare, e lui schizzò nuovamente nel rifugio della sua stanza. “Andiamo, Ronald,” ordinò lei, girando i tacchi.
Ron sapeva che non era il caso di discutere. Si affrettò verso la porta prima che Hermione potesse rivolgere contro di lui il proprio malumore (di nuovo). Hermione fece per seguirlo, solo per essere trattenuta dalla mano del professor Piton sulla sua spalla. Sorpresa, lei alzò gli occhi verso di lui.
“Signorina Granger, mentre apprezzo i tuoi sentimenti,” disse, severamente, “ti suggerisco di ricordare che non sei la madre del signor Potter, ma piuttosto sua amica. Odiose so-tutto-io possono essere tollerate per l'assistenza che forniscono in ambito scolastico, ma le megere vituperose si troveranno presto senza amici. Il tuo intelletto può essere formidabile, ma le tue capacità sociali lasciano molto a desiderare. Devi imparare che, solo perché sei nel giusto, ciò non significa che gli altri accetteranno con piacere il tuo consiglio, la tua disapprovazione o la tua interferenza. E' più probabile il contrario, in effetti. Far sentire le altre persone stupide o piccole è un approccio sciocco, e se tu non vuoi essere condannata a priori come una sgradevole, se pur brillante, strega, devi porre più attenzione nel mostrare rispetto ai tuoi compagni. Non sto in alcun modo obiettando alla tua opinione dell'ultima bravata del signor Potter, ma io sono più che capace di convincerlo del suo errore di giudizio. Non ha bisogno che tu ti comporti come un genitore, signorina Granger, né sei adatta al ruolo. Ti sei già dimostrata una coraggiosa e leale amica: ti suggerisco di lavorare sull'offrire anche conforto e simpatia.” Detto questo, la spinse fuori dalla porta, che chiuse fermamente alle sue spalle.
Hermione se ne stette in piedi, la bocca spalancata e gli occhi scintillanti di lacrime. I suoi pensieri erano nel caos più assoluto: l'uomo l'aveva chiamata una “odiosa so-tutto-io”! Ma l'aveva anche chiamata una “coraggiosa e leale amica”, per non parlare di “brillante”. Lei non era sicura se fosse il caso di scoppiare in lacrime per la mortificazione o per la gioia.
La faccia preoccupata di Ron incombette di fronte a lei. “Uh, tutto bene, 'Mione?”
Hermione tirò su con il naso, pietosamente. “P-pensi che io sia una bisbetica, Ron? O una so-tutto-io?”
“Ehm...” Gli occhi di Ron guizzarono attorno selvaggiamente in cerca di una via di fuga. Le sue peggiori paure vennero realizzate quando Hermione scoppiò in lacrime e si lanciò addosso a lui.
“Mi dispiace!” pianse lei contro la sua spalla. “Non avrei dovuto colpirti! Mi dispiace! Non voglio essere tanto prepotente.”
“Eeeeehm, be', è solo perché sei così intelligente, 'Mione,” disse Ron, battendole goffamente sulla schiena. “Non c'è da meravigliarsi che il resto di noi ti faccia impazzire.” Inghiottì a fatica. Non pensava di essersi mai sentito così a disagio in tutta la sua vita. “Tu – tu devi solo ricordarti di essere più, uhm, paziente.”
“Tu pensi che io sia intelligente?” chiese Hermione, speranzosa.
“Be', sì!” Ron alzò gli occhi al cielo. “E sei anche coraggiosa,” aggiunse, sentendosi generoso. “Prendere a calci in quel modo Tu-Sai-Chi? Diamine! Io non avrei potuto farlo in un milione di anni!”
Gli occhi di Hermione ora stavano scintillando nell'adorazione, non nelle lacrime. Nessun altro (a parte i suoi genitori) le aveva mai detto cose tanto gentili. “Oh, Ron!”
“Ehmmmm, stai meglio, ora?” chiese lui, speranzoso, piuttosto turbato dallo sguardo negli occhi della ragazza.
Lei annuì e afferrò la sua mano. “Uh-hu.”
Ron si fece rosa in viso. Non era certo di volere tenere la mano di una ragazza – non ancora, almeno – ma il braccio gli faceva ancora un po' male, e lui pensò fosse più sicuro non obiettare. “Be', uhm, andiamo, allora.”
Lei annuì felice.

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