Chapter Thirty-two

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Allison's point of view

A passo lento arrivo dentro la villa e chiudo la porta alle mie spalle, per poi buttare a terra il borsone che ho con me.
Non avverto presenze, ciò significa che qui non c'è nessuno.

Faccio un giro della casa ed è effettivamente deserta, in disordine ma comunque vuota. Non ci sono più nemmeno gli effetti personali di Alexander.

Sono andati via.

La cosa in parte mi da un senso di sollievo, significa che sono in salvo, ma un forte odore di acido che proviene dalla cucina attira la mia attenzione.
Appena varco la porta noto una pozza di vomito sul pavimento vicino alla finestra, e la puzza mi da la nausea.

Chissà da quanto è li, ma forse non voglio veramente saperlo.

C'è una tazzina sul tavolo e suppongo che sia lì da quando se ne sono andati, infatti al tatto risulta fredda.

Segno che non sono qui da giorni.

Sospiro e salgo su in quella che era la mia camera ed entro per cercare il mio kit del pronto soccorso e tiro fuori un cambio.
Dopo essermi medicata per velocizzare la guarigione delle mie ferite, decido di farmi una doccia. Infondo non posso andare in giro piena di sangue, mi darebbe solo problemi nel caso in cui degli umani mi vedessero.

Finisco di prepararmi indossando il mio solito mantello e con il borsone in spalla e le mie armi distribuite e nascoste in varie zone del corpo, esco di casa.
Ora non mi resta che prendere il primo volo per andare dai miei, informarmi e poi cercare di contattare gli altri.

Niente insomma.

Prendo la moto dal garage e sfreccio verso l'aeroporto più vicino.

***

Un'ora e mezza dopo sono nel parcheggio dell'aeroporto dedicato agli Hunter. Lascio lì la moto e salgo attraverso un'entrata secondaria per andarmi a informare sui voli in partenza.
Una giovane donna sulla trentina mi informa che il prossimo volo per Whitehorse, nello Yukon, partirà in meno di un paio d'ore così mi affretto a comprare un biglietto e mi metto ad aspettare.

Mi perdo tra i miei pensieri a riflettere su tutto quello che è successo da quando sono arrivata qui, a tutti i casini che ho combinato cercando sempre di fare la cosa giusta.

Eppure ora che ci penso mi sembra di aver soltanto sbagliato tutto dal principio.

L'idea che io abbia fatto quel che ho fatto perché la ritenevo la cosa più giusta per me e non per gli altri mi fa sentire un'egoista, perché infondo, anche non volendo, le scelte che ho fatto erano solo il risultato di una bugia che avevo raccontato a me stessa più volte.

È la cosa giusta da fare, mi ripetevo, ma la cosa giusta per chi alla fine?

Con le mie scelte avevo irrimediabilmente messo in pericolo i miei amici, la mia famiglia e la mia stessa vita. Quindi alla fine non erano poi così giuste come credevo.

In tutti quei mesi che avevo passato qui in Alaska non avevo fatto altro che peggiorare la situazione e fare un disastro dietro l'altra. Fino ad ora non mi ero mai fermata a pensare alle conseguenze che le mie azioni avrebbero avuto sugli altri per il semplice fatto che nelle mie missioni precedenti avevo sempre lavorato sola, niente rapporti con chiunque altro, pensavo solo a me stessa e a come salvarmi la pelle.

Perché alla fine è questo che i cacciatori fanno, è questo ciò che ci viene inculcato sin da piccoli.
Pensa a te stessa e a nessun altro, non verrà nessuno a salvarti e dovrai farlo sempre da sola. Queste erano le parole che mia madre mi ripeteva ogni giorno, come un mantra, e crescendo negli anni avevo finito per agire secondo quella che era un'idea di mia madre e non mia. Avevo agito come mi era stato insegnato e il tutto aveva portato a questo.

Sospiro profondamente e smetto di crogiolarmi nei miei sensi di colpa, alla fine è inutile e l'unico modo per rimediare è prendere la situazione in mano.
Guardo l'orologio e noto che non manca molto perché l'aereo parta, così mi avvio per fare il check-in e quando l'uomo d'innanzi a me si rende conto che sono armata gli mostro un distintivo che mi classifica come cacciatrice e allora mi fa cenno con il capo di andare avanti.

Procedo e arrivo fino al gate e prendo posto sull'aereo, ho comprato un biglietto per la prima classe così da non avere nessuno a disturbarmi.

***

Dieci ore e mezza più tardi mi ritrovo davanti la casa dei miei genitori e ho una brutta sensazione ad attanagliarmi lo stomaco. Cerco di non pensarci troppo, mi dico che forse è solo un'impressione sbagliata dovuta a tutto ciò che è successo nell'ultimo periodo.

Sto per aprire la porta quando il mio telefono prende a squillare e mi meraviglio a vedere che si tratta di mio padre, lui non mi chiama mai.

"Pronto?" rispondo al telefono senza troppa enfasi, non so che cosa aspettarmi.

"Allison? Dove sei?" Mi chiede tutto preoccupato.

"Sono appena fuori casa papà, che succede?"

"Vai immediatamente via di li, potresti essere in serio e pericolo e poi... Devo dirti una cosa con una certa urgenza" risponde in modo frettoloso, qualcosa non va e non mi sbagliavo poco fa.
"I vampiri che lavorano per tuo nonno ci girano intorno da un po' e con loro è guerra aperta, non farti trovare altrimen-" non finisce di parlare che la linea cade.

"Cazzo, papà? Papà mi senti?" Continuo rivolta al vuoto, e mi sto iniziando a preoccupare.

"Merda ma è mai possibile che niente vada per il verso giusto?" Borbotto tra me e me aprendo la porta di casa, non mi interessa dei vampiri, io non mi farò sottomettere.

"Dipende da in che guai ti vai a cacciare ragazzina" mi dice una voce a me sconosciuta mentre poggio il borsone dentro casa, proviene dalle mie spalle.

Mi giro e trovo una donna alle mie spalle, è evidentemente una vampira.

Aspetta un secondo, ma quella è Samantha.

"Che cosa vuoi? Non ti è bastata la lezione dell'ultima volta?" Chiedo rivolta a quella che per oltre sedici anni era stata la mia acerrima nemica. Conosciuta ai tempi delle medie non aveva fatto altro che sfidarmi, voleva essere la migliore in tutto, e lo era, tranne che nel combattimento corpo a corpo. In quello perdeva sempre e in modo vergognoso.

"Ora che sono passata dalla parte di tuo nonno non mi fai più paura. Io ti batterò e in qualsiasi caso lui mi proteggerà" dice sicura di sé, con quella fierezza che non ho mai compreso.

Mi scappa una risata a quelle sue parole "Sei ridicola come quando ti ho battuta due anni fa, ora se mi permetti ho di meglio da fare" dico ed entro in casa sbattendo la porta.

Quello che mi ritrovo davanti è spaventoso a dir poco, la casa è totalmente distrutta: mobili rotti, il divano graffiato, sangue sparso ovunque, corpi di alcuni conoscenti a terra senza vita.
In questa casa regna il caos e mio padre non scherzava quando diceva che eravamo in guerra.

"Merda" sussurro a denti stretti cercando il telefono nella tasca.

"Stai cercando questo, stronzetta?" una voce stridula arriva alle mie spalle e non credo che potrei sopportare Samantha ora come ora.

"Sono già abbastanza irritata, meglio per te se ti fai da parte e mi dai quel maledetto telefono" dico girandomi a guardarla.

"Non sarà così facile sai? Prima dobbiamo giocare" e un sorriso sinistro spinta sulle sue labbra mentre sfodera i suoi denti di vampira.

"Va bene, allora giochiamo" affermo tirando fuori due pugnali e ritirandoli tra le mani.

The Ruthless HunterDove le storie prendono vita. Scoprilo ora