Tredici.

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Aveva sempre odiato gli ospedali.
Quell'odore pungente di medicinali gli faceva girare la testa.
Quei sorrisi sempre fatti per circostanza e tutte quelle persone che dovevano lottare per poter sopravvivere.

Lui non era fatto per stare in ospedale.

La fascia gli stringeva tanto da fargli male e sentiva il bruciore di ogni ferita sul suo corpo.

Il piede si era completamente addormentato tanto da dargli fastidio.

Avrebbe voluto alzarsi, camminare, correre.
Non gli era mai piaciuto stare fermo ed ora che non poteva muovere nemmeno uno muscolo si sentiva in gabbia.

Poi la testa.
Gli scoppiava in un modo terribile, rivedeva le luci, i colpi, le urla.

Le parole d'odio di Ermal, i suoi occhi infuocati e le sue mosse azzardate.
Avrebbe voluto staccare i pensieri, per non avere più a che fare con i mostri della sua testa.

«Nun ce vojo sta qua Giadì.» ripetè per l'ennesima volta nonostante la sua ex compagna gli avesse raccomandato poco prima di smetterla di sforzarsi a parlare dopo essersi spaventata per un forte attacco di tosse.

Erano ore ormai che stava lì al suo fianco, per fortuna i nonni si erano incaricati di andare a prendere i bimbi a scuola.
Fabrizio avrebbe voluto vederli ed abbracciarli forte ma purtroppo nel reparto in cui era ricoverato non era permesso l'accesso ai minori di sedici anni.

Giada fu costretta a salutarlo quando, durante la sera, l'infermiera incaricata ad occuparsi di lui fece il suo ingresso nella camera.

«Buonasera Fabrizio.» disse spalancando la porta per far passare il carrello con l'occorrente per curarlo «Buonasera.» sorrise anche alla donna ancora seduta nella sedia affianco al lettino.

«Ci vediamo domani mattina Fabrì, porto i bambini dai nonni e poi sono qui.» si chinò verso di lui lasciandogli un bacio veloce sulla fronte «Arrivederci.» disse prima di fare un cenno con la mano e andare via.

«Come sta signor Mobrici?» domandò la donna sorridendo prima di staccare la flebo dal suo braccio e chiudere momentaneamente la farfallina.

«Me fa male tutto.» disse piano «Che devo fà?» chiese poi mentre lei portava le mani sul suo petto, sfilando il busto momentaneo che portava.

«Ora ti tolgo questo così puoi minimamente muoverti.» posò le fasciature sul mobiletto accanto prima di avvicinarsi al suo carrellino e prendere un oggetto «Faccia molta attenzione perché è un attimo complicare le cose.» lo informò.

«Questo è un pappagallo.» disse vedendo lo sguardo stupito del moro «Non posso farti alzare dal letto perciò dovrai urinare qui, ora esco cinque minuti così puoi farlo con più privacy e poi continuiamo okay?» gli lasciò uno sguardo e un sorriso prima di uscire velocemente dalla stanza e chiudere la porta alle sue spalle.

Lo sguardo dell'infermiera saettò sull'unica persona presente lì fuori «Aspetta qualcuno?» domandò al riccio seduto ancora su quella sedia.

Il suo viso si alzò di scatto per identificare la persona che gli aveva rivolto la parola e subito dopo aver percepito la domanda scosse la testa, tornando con lo sguardo verso il vuoto.

Passarono pochi minuti quando la donna distolse lo sguardo dalla sua figura per tornare dal suo paziente.

«Fatto?» domandò sbucando dalla porta prima di sentire un flebile 'si'.

Si avvicinò velocemente riponendo il pappagallo nel carrello e alzando con il telecomando il lettino in modo da riuscire meglio a visitarlo.
Fabrizio se ne stava sdraiato e immobile, incapace di muoversi mentre con lo sguardo cercava di seguire i movimenti dell'infermiera.

Non c'è niente di più fragile di una promessa. «MetaMoro»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora