Ventiquattro.

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Era quella la cosa più bella del dormire insieme: svegliarsi l'uno tra le braccia dell'altro.

Fabrizio sorrise quando, aprendo lentamente gli occhi, sentii un peso su tutto il corpo.
La testa di Ermal era comodamente spiaccicata al suo petto tanto da poter sentire il suo fiato sulla pelle. I ricci sparpagliati facevano da contrasto con i suoi tatuaggi e semplicemente gli venne da sorridere a quella visione.
Le sue gambe erano intrappolate in una morsa stretta da quelle dell'altro e il suo fianco era a pieno contatto con il ventre e il membro del riccio.

Ed era una sensazione impagabile averlo lì al suo fianco, come se niente fosse successo, come se il tempo non fosse mai passato.

Era bello poter sentire il cuore battere più forte solo per la sua vicinanza.
Era bello poter sentire il calore del suo corpo per l'evidente contatto.
Era bello poter sentire il profumo della sua pelle dritto nelle narici.

La sua mano iniziò a muoversi lungo la schiena dell'altro, ancora addormentato sopra di lui, scivolò dalla nuca fino ad arrivare alle natiche, per poi risalire e riscendere solleticando la sua pelle con un tocco lieve e delicato.

Le labbra baciarono ripetutamente i suoi capelli fino a scendere sulla fronte.
Poi un mugolio lo fece sorridere e subito dopo la mano del moro fu afferrata da quella dell'altro, che in silenzio la portò nuovamente sulla sua testa, dandogli l'ordine tacito di accarezzargli i capelli.

«Te piacciono i grattini eh.» gli sussurrò prima di affondarci le dita e accarezzare la sua cute, tirando di tanto in tanto qualche ciuffo.
In tutta risposta Ermal sorrise, beandosi di quel tocco e stringendosi ancora di più al corpo di Fabrizio, mancava solo che facesse le fusa.

Amava essere svegliato così.
Si ritrovò a pensare che se ogni risveglio fosse stato così, non avrebbe mai avuto giornate negative.

Affondò la testa nell'incavo del suo collo, baciandolo e mordicchiandolo ripetutamente.
Con la lingua bagnò parte della sua pelle, sprofondando i denti e succhiando fino a lasciarci un segno ben evidente che osservò soddisfatto.

«Buongiorno, amore.» sussurrò poi nel suo orecchio, appoggiandosi sulla sua spalla.

«Buongiorno piccolè.» biascicò con voce rauca.
Sorrise prima che la testa ricoperta di ricci non si alzò leggermente dalla sua spalla per far scontrare le loro labbra.

Le labbra del più piccolo si mossero lentamente, così come la sua lingua. Il bacio infatti, non era irruente e bisognoso, era dolce, calmo e carico di amore.

«Me lo ripeti?» chiese, staccandosi per un attimo dalle sue labbra, rimanendo a pochi centimetri dal suo volto. Sorrise, guardando lo spettacolo che aveva davanti.
Il moro appena sveglio era una delle cose più belle che avesse mai visto.
I capelli erano ancora più disordinati del solito e giacevano, senza alcuna forma, sul cuscino bianco.
Gli occhi leggermente gonfi, avevano un luccichio speciale.
Si ritrovò a pensare che se l'avesse incontrato per la prima volta in quel momento, si sarebbe innamorato di lui solo per quegli occhioni dolci ed espressivi.
Trovava adorabile persino quelle leggere occhiaie che gli contornavano gli occhi, dandogli un'aria da bello e dannato.
Il suo sguardo infine, si catapultò sulle labbra.
Circondate da una barba perfettamente a tono con il suo viso ed un rosa acceso quasi sul rosso dovuto ai troppi baci già dal primo mattino.
Ci passò nuovamente le sue sopra, prima che il romano rispondesse.

«Cosa?» domandò accarezzando il suo viso con la mano libera, mentre l'altra teneva salda la sua schiena.

«Che mi ami.» sussurrò, con voce da bambino prima che un'enorme sorriso spuntasse sulle labbra del moro che iniziò a ridacchiare divertito.

Non c'è niente di più fragile di una promessa. «MetaMoro»Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora